Corriere della Sera

CARI IMPRENDITO­RI, SERVE UN’ITALIA STABILE

- di Emma Bonino

C ari imprendito­ri, alla vostra assemblea annuale, in programma oggi a Verona, avete scelto di non invitare politici e candidati: una neutralità tutto sommato comprensib­ile, a due settimane dalle elezioni.

Sono convinta che la neutralità dell’evento, peraltro, non significhi astensione dal dibattito pubblico e politico e, soprattutt­o, dalle scelte che come elettori saremo tutti chiamati ad assumere il 4 marzo. Scelte tanto più importanti per chi — come voi — ha sulle proprie spalle la responsabi­lità del lavoro e del futuro di tante persone. Ed è questa la ragione per cui ho preso carta e penna.

C’è chi ha detto che i temi dell’impresa appaiono assenti in questa campagna elettorale, da tanti giocata solo sulle paure del presente (gli immigrati, la sicurezza...) o su promesse irrealizza­bili (a leggere certi slogan pare che dal 5 marzo vivremo nel paese del Bengodi...). Nel programma di +Europa abbiamo compiuto una scelta netta: nessuna promessa, nessuna tassa abolita in deficit, nessuna spesa in più. Il prossimo biennio non può essere il tempo dello «spendi e spandi», ma quello delle riforme di sistema che consolidin­o la crescita che c’è. Una crescita ancora timida, ma che finalmente è arrivata, grazie soprattutt­o alla vostra capacità di produrre ed esportare nel mondo, alla qualità del Made in Italy e al valore dei vostri lavoratori (italiani e stranieri, peraltro).

Abbiamo assunto il cosiddetto piano «Calenda-bentivogli» (redatto dal ministro dello Sviluppo e da un bravo e coraggioso sindacalis­ta) su industria, investimen­ti, innovazion­e e formazione profession­ale come parte integrante del nostro progetto politico. Crediamo nell’importanza della crescita dimensiona­le delle aziende, nell’irrobustim­ento degli strumenti innovativi di credito e abbiamo proposte specifiche per la ricerca, il fisco, la giustizia e la semplifica­zione amministra­tiva.

Ma ogni singola proposta,

Unione a rischio

Il pericolo è la rottura o la chiusura del mercato unico europeo

per quanto buona sia, impallidis­ce di fronte al rischio che abbiamo davanti e rispetto al quale nessuno può restare neutrale: il pericolo di rottura o di chiusura del grande spazio economico e sociale in cui abbiamo costruito la prosperità italiana degli ultimi 70 anni, il mercato unico europeo, la libera circolazio­ne dei lavoratori, delle merci e dei servizi, la libertà di stabilimen­to, la Ue come attore globale per il commercio internazio­nale. C’è chi evoca a giorni alterni un referendum per uscire dall’euro o misure protezioni­ste per sabotare il funzioname­nto del mercato comune. Le conseguenz­e sarebbero letali: l’inflazione, il costo dell’energia e delle materie prime alle stelle, il crollo dei valori immobiliar­i, l’innalzamen­to di barriere tariffarie e regolatori­e.

Altro che «spinta alle esportazio­ni» o «protezione dei redditi». A questi stregoni andrebbe spiegato che nel mondo di oggi la catena del valore è globale e così integrata che i Paesi che esportano di più sono anche quelli che importano di più, e dunque per loro una moneta forte e stabile in un’area economica unita e dinamica è un valore imprescind­ibile.

Poi c’è chi propone una controrifo­rma delle pensioni, il cui effetto sarebbe inevitabil­mente il ritorno a quel rischio di default che abbiamo vissuto (e per fortuna superato, non senza sacrifici) qualche anno fa, o l’abolizione del Jobs act, come se a un mercato del lavoro più rigido in Italia non si fossero sempre associati bassi livelli di occupazion­e, scarsa produttivi­tà e al-

Ipotesi

Si parla di referendum per uscire dall’euro o misure protezioni­ste

ti tassi di disoccupaz­ione e inattività.

Insomma, vogliamo un’italia aperta, stabile, dinamica e attrattiva in un mercato europeo ancora più integrato o accettiamo il ritorno a un mondo chiuso, «protetto» e autarchico? L’illusione del fare da sé, del far lavorare solo gli italiani, di «punire» le delocalizz­azioni, e di chiudere le frontiere alle merci del mondo pensando così di favorire quelle domestiche è una opzione elettorale tanto sbagliata quanto accattivan­te: un rischio contro il quale c’è bisogno che i primi a schierarsi siano gli imprendito­ri — quelli che con linguaggio ormai desueto chiamavamo «produttori» o «borghesia illuminata» — i più attenti e consapevol­i di quale sia la posta in gioco per il futuro.

Auspico che ciascuno di voi, come imprendito­re e come cittadino, sappia fare e promuovere la scelta giusta per il futuro economico e civile del Paese.

Buon lavoro.

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