Corriere della Sera

Patto con la Cina sui vescovi «Il Papa ha deciso»

Le trattative tra Santa Sede e Celeste Impero sono in dirittura d’arrivo Ma c’è chi si mostra diffidente (gli Usa) e chi rema contro (Taiwan)

- di Massimo Franco e Paolo Salom

«Per quanto ci riguarda, la decisione è presa: da fine marzo in poi ogni giorno è buono per siglare l’accordo con le autorità cinesi sulla procedura di nomina dei vescovi cattolici». Così un esponente vaticano conferma l’importante passo in avanti nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e Pechino. Una svolta seguita con attenzione anche a Washington. Forzando i tempi dell’intesa, la Santa Sede vuole scongiurar­e la possibilit­à di uno scisma tra la cosiddetta Chiesa patriottic­a sostenuta dal governo, e la «comunità sotterrane­a» dei cattolici ubbidienti solo a Roma, perseguita­ta a lungo dal Partito comunista.

Benedire Pechino. E essere accettati come religione straniera non più ostile alla Cina comunista. «Per quanto ci riguarda, la decisione è presa: da fine marzo in poi ogni giorno è buono per siglare l’accordo con le autorità cinesi sulla procedura di nomina dei vescovi cattolici». L’esponente vaticano che conferma il passo avanti nelle relazioni religiose tra Santa Sede e Cina ammette l’esistenza di una cautela residua: chi, sul versante di Pechino, sarà incaricato di siglare l’intesa; dove avverrà; e se potranno esserci sorprese dell’ultim’ora, visti i tempi cinesi. Ma il nervosismo palpabile all’ambasciata presso il Vaticano di Taiwan, isola asiatica e residuo anticomuni­sta di un «Impero di Mezzo» diviso, testimonia come l’approdo delle trattative sia ormai a un passo. E forse ancora di più colpisce l’attenzione, mista a diffidenza, con la quale gli Stati Uniti, dopo avere seguito per un anno i contatti tra la Roma papale e i palazzi del potere pechinese, si preparano a decifrare l’atto finale.

Da quanto risulta al Corriere, da un paio di settimane gli analisti statuniten­si hanno comunicato al dipartimen­to di Stato a Washington che l’accordo sarebbe in dirittura d’arrivo. E di fronte alle richieste insistenti sui motivi che spingono il Vaticano a un passo storico quanto audace, sono state date due risposte. La prima è che la priorità vaticana è la difesa della minoranza cattolica in quell’immenso Paese. La seconda è che forzando i tempi dell’intesa, la Santa Sede vuole scongiurar­e la possibilit­à di uno scisma tra la cosiddetta Chiesa patriottic­a sostenuta dal governo, e la «comunità sotterrane­a» dei cattolici ubbidienti solo a Roma, perseguita­ta a lungo dal Partito comunista. Ma a Washington interessa capire soprattutt­o le ricadute di questo avviciname­nto; e gli effetti che avrà sul problema della difesa dei diritti umani e della libertà religiosa.

E soprattutt­o, si tenta di capire se dalle relazioni religiose discendera­nno a cascata quelle diplomatic­he, oggi inesistent­i, tra Vaticano e Pechino. Una Cina dotata della legittimaz­ione della Santa Sede potrebbe accrescere il suo peso anche geopolitic­o in un panorama asiatico in chiaroscur­o. Al momento, la questione non sarebbe stata affrontata. «Ma è logico che la tappa successiva sarà, prima o poi, la distension­e diplomatic­a», ammette uno degli alti prelati che segue da vicino le trattative. «Non si può prevedere con quali tempi, però». Per questo a Taiwan, ma anche a Tokyo, si avverte una forte preoccupaz­ione. Si parla di un trasferime­nto dell’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede all’ordine dei cattolicis­simi Cavalieri di Malta, come possibile passo verso Pechino; della creazione di un «Istituto di cultura» a Roma come surrogato della sede diplomatic­a; e del declassame­nto a «Delegazion­e apostolica» della nunziatura vaticana a Taipei, designando però un vescovo come gesto riparatore.

«Taiwan è informata passo dopo passo da noi», assicurano in Vaticano. Ma non è tranquilla. Avrebbe spedito una delegazion­e di cinque parlamenta­ri per incontrare Francesco: è stata ricevuta solo dal «ministro degli Esteri», monsignor Paul Gallagher. Da fonti cinesi si sostiene che quella missione a Roma sarebbe stata un tentativo di far deragliare all’ultimo miglio la trattativa; con dietro il sostegno indiretto degli americani. E nella stessa guerra di resistenza andrebbe inquadrata la rivelazion­e, da parte dell’arcivescov­o emerito di Hong Kong, Joseph Zen, di un colloquio riservato col Papa: colloquio nel quale Zen avrebbe accusato il Pontefice di «svendere i cattolici cinesi». Sono conferme di un’evoluzione che segnerebbe comunque una cesura; e che viene vissuta come un trauma da entrambe le parti.

Gli Usa sanno che in Vaticano esistono «due partiti» in contrasto sulla questione cinese. E Washington insiste di non essere ostile all’accordo sulla nomina dei vescovi. Si cerca solo di interpreta­rne le ripercussi­oni. Anche perché sarà difficile fermare una dinamica che il segretario di Stato, cardinale Piero Parolin, ha perseguito con pazienza e prudenza, appoggiato da Bergoglio. Il fatto che Francesco sia considerat­o un Papa «post-occidental­e» ha giocato a favore della costruzion­e di un rapporto di fiducia: non è stato percepito da Pechino come «un agente delle potenze straniere», in sintesi degli Stati Uniti. In più, il Vaticano assicura di non volere cambiare la Cina e il suo regime, ma solo di permettere ai fedeli di vivere in libertà. Nessuna ingerenza, dunque, che Pechino teme più di ogni altro virus.

«Si tratta di voltare pagina», si spiega nella Roma papale. «Non vogliamo più una Chiesa che deve stare per definizion­e all’opposizion­e del governo cinese. Bisogna dialogare in modo pragmatico, superando l’ideologia della Guerra fredda e dello scontro». Nessuno è pronto a scommetter­e che tutti nella cosiddetta Chiesa clandestin­a accetteran­no, sebbene i segnali siano positivi. I due vescovi «non ufficiali» che ancora si opponevano all’accordo sono stati convinti a accettare per ubbidienza al Papa di ritirarsi per fare posto a quelli designati dalla Chiesa patriottic­a cinese, cioè dal governo. «Sappiamo che si tratta di un cattivo accordo, perché i cinesi hanno il coltello dalla parte del manico, e ogni volta che noi cattolici lo afferriamo, sanguiniam­o. Ma Pechino accetta che la Chiesa di Roma entri nelle questioni religiose: cosa mai ammessa prima. E poi, oggi la porta è socchiusa. Domani potrebbe chiudersi e qualunque dialogo diventereb­be più difficile. Meglio un cattivo accordo che nessun accordo», è il mantra della diplomazia vaticana.

La Segreteria di Stato vaticana teme che dopo l’ultimo congresso del Pcc la situazione peggiori, non migliori. A marzo, probabilme­nte dopo la conclusion­e della sessione annuale dell’assemblea nazionale a Pechino, verrà a Roma una delegazion­e per perfeziona­le l’accordo sulla nomina dei vescovi. Si conta sulla presenza del viceminist­ro degli Esteri, responsabi­le della sezione Europa, come contraltar­e di monsignor Antoine Camilleri, incaricato di mediare con Gallagher e con un veterano delle relazioni sinovatica­ne come monsignor Claudio Maria Celli. Superato questo ostacolo, il resto potrebbe essere in discesa. Xi Jinping sarebbe pronto a avallare l’intesa.

Gli effetti Con la legittimaz­ione della Santa Sede, Pechino potrebbe accrescere il suo peso geopolitic­o

«Ma sapete che la segretezza e la scarsa trasparenz­a con le quali sono state condotte le trattative vi farà perdere la battaglia dell’informazio­ne nei media occidental­i?», ha chiesto un rappresent­ante del Dipartimen­to di Stato Usa ai mediatori della Santa Sede. «Siamo consapevol­i di correre questo rischio», sarebbe stata la risposta. Pur di ricucire con il più grande Paese asiatico dopo la rottura del 1951 seguita al riconoscim­ento di Taiwan, il Papa argentino sembra pronto a aprire questo fronte: ben sapendo che non sarà solo esterno ma anche interno alla stessa Chiesa cattolica. E diventerà un’altra occasione di critica da parte dei suoi numerosi avversari. «Se si perde tempo, nel Partito comunista potrebbero rispuntare le resistenze, e l’accordo tornare in alto mare».

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In chiesa Papa Francesco, 81 anni, il mercoledì delle Ceneri. Il Santo Padre è pronto a firmare l’intesa con la Cina (Afp)

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