«Mia madre, 73 anni in carcere in Turchia per le sue idee»
La figlia di Nazli Ilicak, condannata all’ergastolo
«La Turchia è uno Stato di diritto come la Germania e gli Usa». Il premier turco Binali Yildirim a margine del suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco risponde così all’ondata di sdegno e alle proteste per la condanna all’ergastolo dello scrittore Ahmet Altan, 67 anni, di suo fratello Mehmet, che è un economista, della nota e tagliente editorialista Nazli Ilicak, 73 anni, e di altri tre giornalisti. La sentenza è stata criticata dai vertici della Ue ma anche al Dipartimento di Stato Usa c’è grande preoccupazione. Yildirim, però, non ci sta.
Come all’indomani del fallito colpo di Stato, quando la Turchia accusò l’occidente di non averle mostrato solidarietà in un momento tragico, il primo ministro condanna l’atteggiamento di superiorità con cui, dice, si guarda ad Ankara. «Nessun Paese ha il diritto di giudicare lo stato di diritto degli altri Paesi — afferma —. Lasciamo lavorare la giustizia». «Alcuni processi sono troppo lenti — ammette —. Vanno velocizzati».
Ma non è stato questo il caso delle sei condanne all’ergastolo comminate venerdì scorso a Istanbul. A far indignare il mondo è stata l’entità della pena: «Li hanno trattati come se fossero stati gli autori del golpe», dice al Corriere con un filo di voce e dopo molte insistenze Asli Ilicak, la figlia dell’editorialista e commentatrice tv condannata insieme ai fratelli Altan. Prima del suo arresto nel 2016 Ilicak era una giornalista molto nota nel Paese e all’estero che amava curare il suo aspetto: l’acconciatura bionda sempre in ordine, i vestiti alla moda. «Oggi ha i capelli grigi — dice Asli — perché in prigione non glieli fanno tingere nonostante di solito sia permesso. La posso vedere solo due volte al mese e chiamarla ogni 15 giorni». La donna, 45 anni, è sconvolta: «Questa è una tragicommedia. Mamma non era coinvolta con Feto (come Ankara definisce l’organizzazione di Fethullah Gülen, ndr) e io sono fortemente contraria al golpe. Che io sia maledetta se non è vero. Un anno fa ero ottimista pensavo che l’avrebbero rilasciata. Però le avevo detto: se esci lasci il giornalismo perché in questo Paese non si può essere idealisti». Poi è arrivato il verdetto. Durissimo. Isolamento quasi totale. Un’ora d’aria al giorno. Visite ancora più limitate di oggi. «Imprigionare qualcuno a causa delle sue idee non è una buona cosa per il Paese. Per condannare una persona ci vogliono le prove e in questo caso non ce n’erano», aggiunge Asli che però non se la sente di dire che in Turchia la libertà di espressione è limitata: «No, non credo sia vero e non voglio che l’occidente si occupi di noi. Penso che l’europa e gli Stati Uniti non debbano dire proprio nulla ad Erdogan».
Paradossalmente Nazli Ilicak ha appoggiato il sultano per anni: «È stata mia madre che l’ha introdotto in molti ambienti liberali», racconta la figlia. Prima ancora che l’attuale presidente della Turchia diventasse potente la giornalista faceva politica: è stata deputata del partito islamico della Virtù nel 1999 ed ha perso il seggio quando la formazione politica è stato dichiarata illegale.
In Parlamento si era battuta perché le donne potessero portare il velo ed era stata al loro fianco in più di un’occasione. Gli amici la descrivono come «una donna molto coraggiosa», una che ai tempi del golpe di Kenan Evren, nel 1980, era stata arrestata perché aveva detto di votare no al referendum indetto dalla giunta militare. Lo stesso coraggio con cui ha poi criticato l’akp per lo scandalo corruzione esploso nel 2013. Qualcuno non gliel’ha perdonato.