Il mistero dei tre ambulanti italiani scomparsi in Messico
Padre, figlio e un nipote erano partiti da Napoli. L’ultimo messaggio il 31 gennaio: siamo stati fermati
Erano in Messico per vendere in strada merce cinese: tre ambulanti napoletani sono scomparsi dal 31 gennaio e si teme per la loro sorte. Si è attivata la Farnesina e la Procura di Roma ha aperto un fascicolo. Raffaele Russo, 60 anni, suo figlio Antonio, di 25, e il nipote Vincenzo Cimmino, di 29, erano arrivati nella cittadina di Tetalticlan (stato di Jalisco, a 700 chilometri da Città del Messico) dal rione Case Nuove, un alveare di palazzoni popolari a ridosso di via Marina.
Da 19 giorni, ormai, non danno loro notizie. La scomparsa è avvenuta in circostanze oscure: prima si sono perse le tracce di Raffaele, che era alla guida di un’auto noleggiata. Grazie al sistema Gps, il figlio e il nipote hanno individuato la posizione della vettura; ma, arrivati sul posto, non c’era più nulla. Di lì a poco i due giovani sono stati circondati da uomini sopraggiunti in auto e in moto: questo almeno ha detto Antonio ai fratelli Francesco e Daniele (anche loro in Messico per lavoro) in alcuni messaggi su Whatsapp.
Qui il giallo si infittisce: Francesco e Daniele si rivolgono alla polizia di Tetalticlan, che ammette di avere arrestato i due giovani ma afferma di non sapere nulla di Raffaele. Poi però fa marcia indietro: nessuno dei tre italiani ha avuto a che fare con gli agenti. I familiari dei tre scomparsi, dopo avere atteso con fiducia gli sviluppi delle indagini, ora si sentono sconfortati e chiedono aiuto. Si ri bellano alle insinuazioni di chi parla di narcotraffico. La moglie di Raffaele, Silvana Esposito, è indignata: «La nostra famiglia fa questo lavoro da generazioni. Compriamo indumenti a Napoli per poi rivenderli in giro per il mondo. Uno dei miei figli è nato in Francia, un altro in Belgio: che c’è di strano se adesso si trovavano in Messico?».
Per qualche giorno i Russo hanno sperato che si trattasse si uno dei tanti sequestri di persona che avvengono da quelle parti. «Prendono in ostaggio gli stranieri — dice ancora Silvana — e poi chiedono un riscatto per rilasciarli. Se è questo che vogliono siamo pronti, ci sacrifichiamo pur di riabbracciare I nostri cari. Ma abbiamo paura che non sia andata così».
Gli altri due figli nel frattempo sono rientrati a Napoli. Tutti insieme cercano di tenere alta l’attenzione delle autorità. E di tutelare la dignità della famiglia. «Siamo persone perbene, abituate a lavorare. Niente a che vedere con la malavita. Guardatemi — insiste Silvana indicando la vestaglia consunta che indossa —, vi sembro la moglie di un narcotrafficante?».