«Che danni dalle archistar Ho ricevuto minacce di morte per la Moschea di Roma»
L’architetto: credo ancora nel socialismo, ma Craxi sbagliò
P di Paolo Conti aolo Portoghesi, 86 anni il 2 novembre scorso. Per molti «Portoghesi» è sinonimo di Grande Moschea di Roma. Cosa significa per lei quell’edificio?
«Una straordinaria occasione. Sono romano. Era un punto d’onore, per me architetto, lasciare a Roma un segno. Sono stato fortunato: è un’opera di grande valore simbolico, rappresenta per la Capitale il suggello della libertà religiosa, il ritorno alla ricchezza che viene dalle differenze e dalle molteplicità. Come successe quando arrivò il Cristianesimo nella Roma dell’impero».
Una storia durata vent’anni, dall’ideazione nel 1973 all’inaugurazione nel 1995. Allora l’islam faceva meno paura...
«Veramente faceva già paura ai tempi. Il sindaco di Roma, Giulio Carlo Argan, io e Vittorio Gigliotti, che lavorò con me al progetto, fummo minacciati di morte. Circolarono volantini: “Vi gambizzeremo”. Li conservo ancora... Molta paura, ma non successe nulla. Erano cattolici di destra, e frange del Msi. Poi la destra si scusò, ammise di aver sbagliato».
Dicono che Papa Paolo VI avesse dato via libera. È così?
«Certo. Non ci fu nulla di ufficiale. Ma il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, annunciò in un viaggio ufficiale in Arabia Saudita il progetto della Moschea. Nell’italia di allora, non avrebbe potuto farlo senza il sì del Vaticano».