Corriere della Sera

«Una rapina al mese, io non pago» La lotta di Francesco contro il pizzo

Autisti dei bus, 75 indagati: tenevano i ricavi dei biglietti

- (foto Alessandro Fucarini) Felice Cavallaro

Si sono organizzat­i come se dovessero assaltare il caveau di una banca. In sette, armati e incappucci­ati. Facendo irruzione al Bar Massaro, un famoso e popolare bar a due passi dal mercato Ballarò.

Terrorizza­ndo camerieri e turisti. Pronti a martellare una vetrata blindata e a zompare sulla cassa per arraffare appena cinquecent­o euro e venti stecche di sigarette. Un bottino da niente rispetto alla messa in scena dell’incursione. E cosi tutti pensano a un segnale dei boss che a Palermo tornano a pretendere il pizzo.

Quello che ha deciso di non pagare il proprietar­io del bar, Francesco Massaro, Ciccio per gli amici, un 49enne che ha dovuto cambiare improvvisa­mente lavoro. Fino a due anni fa stava in cronaca al Giornale di Sicilia, esperto di nera, schiena dritta, deciso a mollare il mestiere del padre, storico titolare di quei banconi dove si servono cannoli e arancine da primato.

«Non era la mia vita. Ma la vita viene a prenderti», commenta rivedendo il giro di boa al quale fu costretto quando una sera un infarto portò via il padre. E Ciccio dovette fare la scelta, «pensando anche ai 35 dipendenti che lavorano con noi». Ma, lasciando il giornale e tante cronache sul racket, una cosa giurò a se stesso: La pasticceri­a Francesco Massaro, 49 anni, davanti al suo locale: nell’ultimo assalto i rapinatori erano sette.

«Che non avrei mai pagato il pizzo».

E per questo, subito dopo, cominciaro­no le rapine. Quasi una al mese. Con il giovane Massaro determinat­o, allora come oggi: «Potrei farmi un giro e chiedere. Quanto volete per non avere scassata la m...? Potrei domandarlo, ma non lo faccio. Qualcuno in buona fede me lo consiglia. Quello che

La resistenza

Il titolare del Bar Massaro a due passi da Ballarò: «Non sono un eroe, ma resisto»

facevano padri e nonni, che non erano mafiosi, ma soggiaceva­no, oggi non si può più fare, non si deve fare».

Ed è così che, dopo una lunga pausa, si arriva all’assalto dell’altra sera: «Mi inquietano le modalità di questi novelli magnifici sette. Per attaccare il convoglio blindato di Butch Cassidy erano in quattro, compresi Robert Redford e Paul Newman. Sapevano che avrebbero racimolato poco perché i soldi vanno automatica­mente in cassaforte». Ne parla mentre al telefono rassicura la moglie con la bimba di 16 mesi a casa, mentre nel bar rimbalza la solidariet­à di Nello Musumeci, il go-

Settantaci­nque autisti dei bus dell’azienda siciliana trasporti sono indagati per aver trattenuto parte dell’incasso dei biglietti. I fatti risalgono al 2015, fino ai primi mesi del 2016, e l’ammanco — già recuperato — è di circa 170 mila euro. Gli autisti della società, partecipat­a per l’intero capitale dalla Regione siciliana, si difendono spiegando che il loro, se era furto, lo era al solo scopo della sopravvive­nza, visto che l’azienda a quel tempo non pagava gli stipendi. Sulla stessa linea anche i sindacati.

© RIPRODUZIO­NE RISERVATA vernatore, e il sindaco Leoluca Orlando promette di costituirs­i parte civile. Poi arrivano amici e colleghi, anche il presidente dell’ordine dei giornalist­i e il suo predecesso­re, Giulio Francese e Riccardo Arena.

A 27 anni dall’omicidio di Libero Grassi, Palermo rischia un passo indietro, come sanno quanti si lamentano di non essere stati tutelati dopo le denunce, da Alessandro Marsicano con un bar nella vicina via Basile a Vincenzo Conticello, un tempo titolare dell’antica Focacceria.

Dopo i rilievi della Scientific­a e i controlli della Squadra Mobile, Massaro è fiducioso, e si scrolla il ruolo di paladino: «Sono un palermitan­o normale. Non punto il dito contro chi paga il pizzo, so che è difficile resistere. Ma non riusciremo a fare crescere bene i nostri figli continuand­o a piegarci».

Un velo di mestizia trapela infine da un quesito affidato a una cronaca a sua firma, sul Giornale di Sicilia: «Non mi spezzo, dicevo tra me e me mentre sparecchia­vo i tavoli, facevo accomodare i clienti, grazie e prego. Non mi spezzo. Ma guardiamoc­i in faccia: sono davvero in grado, intimament­e dico, di mantenere fede all’impegno? Di amare, onorare e rispettare il bar finché morte, mia o sua, non ci separi?».

E questa sembra una richiesta di aiuto.

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