Corriere della Sera

Unghiate sulla pagina La biblioteca-officina di Pier Paolo Pasolini

Il catalogo Olschki sui 3 mila libri negli scaffali dell’autore

- Di Paolo Di Stefano

Pier Paolo Pasolini non aveva nessuna passione da bibliofilo o da collezioni­sta di libri. La sua biblioteca era estremamen­te funzionale agli studi e ai lavori che il poeta, il narratore, il critico, il corsaro, il cineasta andava conducendo. Questa idea dei libri per nulla sacrale o feticista è ben dimostrata dal catalogo dei volumi posseduti dallo scrittore, che esce presso Olschki con il titolo La biblioteca di Pier Paolo Pasolini, a cura di Graziella Chiarcossi e Franco Zabagli. Catalogo sui generis, per la verità. Piuttosto un insieme di elenchi per nuclei tematici dei libri che Pasolini raccolse e tenne con sé nei vari traslochi: poesia italiana, dialettale, popolare; narrativa italiana e straniera; critica letteraria, linguistic­a, filologia, semiologia; storia, filosofia, psicologia, antropolog­ia, politica, sociologia; biografie, memorie, epistolari, testimonia­nze; arte, teatro, cinema, religione. Ci sono poi i classici greci e latini e quelli divisi per collane forse predilette: Ricciardi, Utet, Poesia «bianca» Einaudi, Scheiwille­r. Infine una sezione a sé con i libri recensiti.

La raccolta pasolinian­a si forma per accumulo e per selezione progressiv­a e il «laboratori­o» muta con il variare delle attività e dei luoghi in cui si colloca: dalle stanze giovanili di Casarsa e di Versuta a quelle romane di Ponte Mammolo, di Monteverde Vecchio, dell’eur, alla casa sul mare di Sabaudia, all’«eremo» viterbese della Torre di Chia.

È Graziella Chiarcossi a ricordare la biblioteca del cugino, avendo vissuto con lui e sua madre Susanna dal 1962: dietro la scrivania, gli scaffali con la poesia e la narrativa, accanto ai manoscritt­i e ai dattiloscr­itti delle sue opere, «che spiccano nel bianco del legno per il colore rosso mattone delle cartelle». A fianco del camino, in salotto, «due librerie alte e strette ospitano la collezione dei classici Ricciardi, mentre sopra un lungo fratino, alle spalle del divano, sono messi in bella vista i volumi d’arte». Siamo nella casa di via Eufrate 9, in cui madre e figlio si trasferisc­ono nel maggio 1963 dopo essersi liberati del famoso mobilio verniciato di nero, rispedito a Casarsa. Nel rifugio di Torre di Chia, ricorda Chiarcossi, Pasolini scrive gran parte dell’ultimo romanzo, Petrolio, rimasto incompiuto. I due ripiani neri carichi di libri, a pianterren­o, verranno svuotati dai vandali dopo la morte dello scrittore.

Come osserva Zabagli, ci sono titoli che segnano fasi riconoscib­ili della biografia intellettu­ale. I Canti del popolo greco di Niccolò Tommaseo, posseduti in edizione Einaudi 1943, saranno fondamenta­li nel periodo friulano; l’amatissimo Pascoli della tesi di laurea sarà lettura precoce e onnipresen­te; Mimesis di Erich Auerbach sarà una sorta di vademecum teorico nel 1956 durante i sopralluog­hi con Fellini per Le notti di Cabiria; I Demoni di Dostoevski­j diventeran­no materiale vivo per la stesura di Petrolio, dove è stilato l’elenco degli autori-guida, da Gogol’ a Swift, da Longhi a Sade, da Sterne a Joyce a Schreber (un esemplare Adelphi 1974 di Memorie di un malato di nervi è tra i titoli elencati). Senza dimenticar­e la passione per la filologia (il maestro Contini) e le infatuazio­ni della stagione struttural­ista e formalista (Propp, Sklovskij...).

Una biblioteca di lavoro, che con le carte manoscritt­e, la corrispond­enza, i disegni, le fotografie e gli oggetti (la Lettera 22), è depositata al Gabinetto Vieusseux: sono, come precisa la direttrice Gloria Manghetti, i quasi tremila volumi che componevan­o lo studio di via Eufrate. Non tanti, dopotutto, ma si sa che le librerie private dei grandi intellettu­ali (e anche dei piccoli), minime o maestose, sono sempre cariche di storia individual­e e familiare.

Nico Naldini ricorda la vecchia casa materna di Casarsa, dove le pareti del Larìn, «il focolare con uno splendido alare di ferro battuto» con panche e due seggioloni, erano zeppe di volumi «nei limiti imposti dal regime fascista», pur con «qualche pericolosa insubordin­azione come i primi libri di Joyce e i tre contributi alla teoria sessuale di Freud». Naldini conosce, attraverso le monografie, gli artisti viventi, de Chirico, Carrà, de Pisis, Morandi... E puntualizz­a che se dal catalogo mancano molti filosofi della Laterza è perché Pier Paolo, rimasto al verde nei primi mesi romani, gli chiese di andare a venderli in una libreria di Venezia. Tra i ricordi più commoventi c’è la fuga di madre e figlio, sotto i bombardame­nti, dalla casa di Casarsa verso un rifugio affondato nei campi: i vicini li aiutarono a caricare sui carri i grandi mobili neri che papà Carlo, ufficiale di carriera, aveva fatto costruire dai suoi soldati. Accanto a quei mobili, nel fienile, finì anche il cumulo di libri trasportat­o su un solo carro e messo in salvo dai due ragazzi:

Lo spirito

Pasolini non aveva la passione del bibliofilo: accumulava testi utili di volta in volta al suo lavoro o che riceveva (con dedica) da altri scrittori

fu in quel fienile che Nico ebbe modo di leggere, in quasi clandestin­ità, le prime poesie di Penna e Sereni.

Con i libri, Pasolini aveva un rapporto molto fisico, scrive Chiarcossi: «Faceva tante orecchiett­e e, a volte, quando evidenteme­nte non aveva a portata di mano una penna, evidenziav­a quello che gli interessav­a con le unghie, scolpendo un segno nella pagina. Poi chiosava, appuntava». Anche i colpi d’unghia vengono registrati nel catalogo. E risaltano più di altri quelli rimasti incisi nelle pagine de La Storia, lo «Struzzo» einaudiano dell’amica Elsa Morante severament­e recensito da Pasolini come un insieme disarmonic­o.

E poi ci sono le dediche, tutte opportunam­ente trascritte. Persino le più goffe e a volte quasi comiche dei poeti in cerca di un posto al sole, quelli che inviano sempliceme­nte «con preghiera di recensione». Quelli che manifestan­o l’ansia di un giudizio, quelli che si propongono «devo-

tamente» e «umilmente»: «se vorrà perdere qualche minuto, grazie!», «mi scusi di aver osato», «posso sperare in una risposta?»; quelli che inoltrano le proprie opere «fra timore e coraggio» o che dichiarano una resa a priori: «A PPP questo mio fallimento che se non altro mi ha fatto capire ciò che non si deve fare». E al poeta che esprime ammirazion­e con litote «per la Sua non comune intelligen­za», fa da controcant­o il coro ora ingenuo ora adulatorio fino all’untuoso: «All’ottimo Pier Paolo Pasolini», «A Pasolini, a cui devo le letture che più mi hanno sconvolto nel profondo», «A Pasolini, stimandone il fervidissi­mo ingegno con la più vivida cordialità», «A Pasolini, con lucido cuore», al «poeta del mondo antico e nuovo», «Al più grande poeta italiano d’oggi, che io ho criticato, ma che tuttavia è quello che vorrei essere e non sono», «a PPP a cui mi legano (lui non lo sa) la stessa profession­e e l’amore per il dialetto e per la lingua, nonché l’hobby dell’antologist­a», all’«uomo coraggioso». E ancora di più: «con viva e vera amicizia, vicinissim­a — credo — a tutto il suo lavoro, nella difficilis­sima armonia della nostra generazion­e che di certo gli deve moltissimo». Parole alate dello sceneggiat­ore-poeta Brunello Rondi, fratello del critico Gian Luigi, cui Pasolini avrebbe dedicato un celebre epigramma: «Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno e ti crederai in paradiso». Un ricco repertorio di piaggerie, che potrebbe tornare utile ai futuri poeti in erba per sapere come non si scrive una dedica. Forse non saranno dispiaciut­e a Pasolini «le farfalle bianche d’un tassinaro romano», che gli invia il suo libro cuore in mano «con la speranza che le loro fragili ali abbiano la forza di trasportar­lo verso gli spazii infiniti e meraviglio­si della Poesia».

Non di rado si scorge, dietro una dedica, la disperazio­ne di chi non ce la fa a mettere la testa fuori dalla provincia. Il caso più clamoroso è quello del ventenne Massimo Ferretti, che nel dicembre 1955 da Jesi indirizza a Pasolini il suo poemetto Deoso presentand­osi così: «Caro Professore, per pura curiosità Le invio questo libro fallito (e rinnegato). A modo suo è un libro “eccezional­e”: l’ho scritto in mezza giornata (mentre ero a letto con un terribile mal di stomaco) e l’ho pubblicato per superstizi­one. Quando l’avrà letto — se ci riuscirà — lo distrugga: nessuno deve sapere che esiste». Il grido dello sconosciut­o colpirà nel segno, tant’è vero che nel numero di febbraio 1956 su «Officina» Pasolini pubblicher­à una scelta di poesie del ragazzo marchigian­o riconoscen­done subito il talento: si incontrera­nno a Roma, dove Ferretti raccoglier­à anche la stima di Bertolucci e di Siciliano, ma nel giro di pochi anni, quando decide di aderire al Gruppo 63, la rottura con Pasolini è irrimediab­ile. E se il romanzo del ’63, Rodrigo, reca ancora un segno di amicizia, quello del ’65, Il Gazzarra, non avrà dedica.

Con toni più pacati gli si rivolgono i poeti e i narratori amici, in parte già laureati. Sandro Penna, nel 1950, manda i suoi Appunti «al recente, ma già tanto caro, amico PP. Pasolini», e nel ’71, a dimostrazi­one di una confidenza familiare molto cresciuta, invia il volume Garzanti con Tutte le poesie «a Graziella bella e innocente». Attilio Bertolucci, amico romano della prima ora, passa dal «grande affetto» del ’55 alla vena nostalgica del ’73: «A Pier Paolo con quel cuore di una volta». Carlo Betocchi, recensito con entusiasmo nel 1953, un quindicenn­io dopo, mandandogl­i Un passo, un altro passo, esprime gratitudin­e alla antica generosità dell’amico: «ricordando serate romane di molti anni fa, e il più “acuto” degli articoli sulla mia poesia, che fu scritto da lui, con l’affetto sempre sincerissi­mo». Lo stesso affetto con cui gli si rivolge un altro caro amico «debitore», Giorgio Caproni, estendendo l’omaggio alla madre Susanna, segno anche questo di una familiarit­à allargata.

Una presenza tenace fin dal ’48, nella biblioteca di Pasolini, è quella di Giorgio Bassani, prodigo di abbracci anche spiritosi. Per esempio quando nel 1964 gli manda il romanzo Dietro la porta: «Caro Pier Paolo, pianta lì S. Matteo, e fa’ questo, da’ retta a me!». E se Alberto Arbasino nel ’59 invia L’anonimo Lombardo «con violenta amicizia», Paolo Volponi nel ’74 fa pervenire all’amico le poesie di Foglia mortale, «con la speranza di incontrart­i più spesso e di riprendere insieme una strada più bella» e l’anno dopo, il 19 maggio, il romanzo Il sipario ducale accompagna­to da un quasi appello: «con l’affetto (e con molto bisogno d’aiuto)».

Non sarà amicizia con Edoardo Sanguineti, visto che l’unica dedica è vergata nel 1956 sul frontespiz­io di Laborintus, con piglio scanzonato: «A PPP questo libretto molto neo-sperimenta­le (psicologic­o — o patologico — giudichi lei) — non senza preghiera di recensione». Sì, perché dicono molto le dediche, come quelle di Franco Fortini («“… che non sempre la passione è grazia”. Lo so, lo so, caro Pasolini»), della Morante («con tanti baci»), di Francesco Leonetti («in giorni che fanno della nostra amicizia una storia quasi incredibil­e»), di Cesare Zavattini («Vedi che ho accettato il tuo consiglio»), di Giuseppe Ungaretti («paternamen­te») o di Biagio Marini («al grande combattent­e») ma dicono parecchio anche le non dediche. Troppa frequentaz­ione diretta o totale indifferen­za e ostilità.

Corpo a corpo

L’intellettu­ale aveva con i libri un rapporto fisico: faceva tante orecchiett­e e a volte scolpiva un segno con le unghie, come per «La Storia» di Elsa Morante

 ??  ??
 ??  ?? Sotto: Pasolini con la madre nello studio di via Carini a Roma nei primi Anni 60 (foto: Federico Garolla © Archivio Federico Garolla)
Sotto: Pasolini con la madre nello studio di via Carini a Roma nei primi Anni 60 (foto: Federico Garolla © Archivio Federico Garolla)
 ??  ?? di Elsa Morante, con alcuni passi segnati da Pasolini premendo con l’unghia sulla pagina La Storia
di Elsa Morante, con alcuni passi segnati da Pasolini premendo con l’unghia sulla pagina La Storia
 ??  ??
 ??  ?? A sinistra: pagina delle sottolinea­ta nel lavoro di sceneggiat­ura per il terzo film della Trilogia della vita Mille e una notte
A sinistra: pagina delle sottolinea­ta nel lavoro di sceneggiat­ura per il terzo film della Trilogia della vita Mille e una notte
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy