L’italia delle staffette sale sul podio ai Giochi
Sono d’argento le ragazze azzurre dello short track Un’incredibile carambola e Cina squalificata
Dentro il frullatore impazzito, nel groviglio di lame e urlacci, c’è l’argento dell’italia. «Ragazze, a bomba!» ordina capitan Fontana sulla soglia di questo wrestling sottozero chiamato staffetta dello short track, 27 giri (per un totale di 3 km) a inseguirsi e superarsi e alternarsi dandosi grandi spinte sul sedere, Martina al lancio a Lucia, Lucia a Cecilia, Cecilia ad Arianna e via daccapo, little Italy contro le superpotenze: qui dentro mannaggia c’è un chiasso d’inferno perché la Corea sta vincendo. Se ne vanno, Minjeong Choi e le sue sorelle, hanno un altro passo e gli occhi di tigre, le braccano Cina e Canada, l’italia è quarta a 4 giri dalla fine, quando salire sul podio, almeno per eguagliare il bronzo di Sochi, pare una missione impossibile.
Poi il frullatore s’inceppa. Di colpo. La coreana sbaglia il cambio, la canadese le rovina addosso, dietro c’è Lucia Peretti che tenta il dribbling ma non le riesce, giù per terra pure lei, dritta per la tangente e contro il materasso. «Mi rialzo e allungo la mano, vedo Arianna, ripartiamo». L’oro nei 500 metri (che con 7 medaglie olimpiche supera Eugenio Monti e Zöggeler e aggancia la Di Centa) dà il cambio a Martina Valcepina, che lancia le sue trecce verso il traguardo. Bronzo, dietro Corea e Cina.
Ma lo short track non è mai come sembra. Dopo lunga consultazione (la Var, qui, è di casa), la giuria emette il verdetto: Canada e Cina squalificate per scorrettezze, argento Italia e bronzo all’olanda che aveva vinto la finale B con il record del mondo (4’03’’471).
La festa può cominciare. Arianna si butta tra le braccia di Anthony mentre Lucia, Martina e Cecilia Maffei, la più agée del gineceo con i suoi 33 anni («Ero riserva a Torino e Sochi, non avevano creduto in me, finalmente corono un sogno») si abbracciano a centro pista, immagine specchio della squadra azzurra. Da un lato lei, l’atomica bionda, con il suo caratterino, i suoi capricci, l’imposizione del marito come preparatore atletico; dall’altra loro, che senza non vincerebbero. «Fuori dal ghiaccio non è che le ragazze vadano sempre d’accordo — conferma il c.t. Kenan Gouadec —, ma quando gareggiano sono professionali e, unite, diventano un mostro». Fontana-valcepina, mamma di due bimbe che ieri l’hanno vista piangere all’ice Arena, sembra la relazione più arrugginita. Però l’importante è essersi lasciate sotto le lame i rancori, aver agguantato la medaglia più imprevedibile (ci sono ancora i 1.000 m con la Fontana, domani), aver dimostrato che l’unione fa sempre la forza, quando serve.
«Questo è uno sport pieno di contatti, spesso non hai il tempo per pensare» conferma Martina. «È la medaglia più bella perché corale, dedicata anche alle azzurre che non sono a Pyeongchang. C’è stato un po’ di casino, non si è capito cosa è successo ma alla fine è argento» dice, diplomatica, Arianna. «Siamo cresciute da Sochi: l’attesa aumenta il desiderio» filosofeggia Lucia, che ha un pensiero per nonna Luisa. «Ai miei genitori» chiosa Cecilia.
È un argento da confraternita, sbocciato in Valtellina nel fazzoletto tra Berbenno (Fontana) e Sondalo (Valcepina e Peretti), con innesto dal Trentino (Maffei). È prezioso perché nell’asia dominatrice piantiamo un tricolore casereccio, tra sorrisi veri e un po’ stiracchiati. Sono tutte per uno quando decidono come festeggiare: pizza e Nutella. Altro che le zuppe delle coreane.