Bombe, assalti Nella trincea del fronte curdo
Oltre 250 morti in 3 giorni. Il regime vuole riconquistare la roccaforte ribelle di Ghouta, alle porte della capitale. L’onu: «Una crescente tragedia». I medici: «Qui manca tutto»
I l regime siriano di Bashar Assad lancia «la grande operazione finale» per la riconquista della roccaforte ribelle di Ghouta: missili e bombe, 400 mila civili in trappola. Da domenica circa duecento morti, compresi sessanta bambini. Le organizzazioni umanitarie denunciano «una seconda Aleppo». Reportage dal fronte settentrionale, tra le milizie curde siriane Ypg sulle colline teatro dello scontro fra curdi, turchi e lealisti siriani. I convogli di Assad entrano ad Afrin. Il leader turco Erdogan ordina di fare fuoco.
MANBIJ (SIRIA) Bombe su bombe, missili, attacchi mirati con jet, droni ed elicotteri: così il regime siriano lancia quella che definisce «la grande operazione finale» per la conquista di Ghouta. Le conseguenze sono drammatiche per i circa 400.000 civili, in maggioranza sfollati, che dal 2013 sono circondati in questa roccaforte storica della rivoluzione che dal 2011 cerca di defenestrare Bashar Assad e la sua nomenklatura. I medici locali, le squadre degli «elmetti bianchi» (i volontari che cercano sopravvissuti tra le macerie), oltre alle organizzazioni umanitarie internazionali e all’onu, denunciano l’inverarsi sanguinoso di «una seconda Aleppo». I primi bilanci sono gravissimi: almeno cento morti, se non 130, oltre a 325 feriti da lunedì. E il numero dei morti sale a quota 250 se si conta da domenica. Tra loro, sessanta bambini e un numero simile di donne.
L’inviato speciale dell’onu, Staffan De Mistura, abbandona i toni diplomatici per puntare decisamente il dito contro il regime di Damasco e i suoi quadri militari, che ben poco potrebbero fare senza l’aiuto determinante degli alleati russi, iraniani e la milizia sciita libanese dell’hezbollah. «Siamo di fronte a una crescente tragedia. Se abbiamo imparato una qualche lezione da Aleppo è tempo di metterla in pratica», dice ricordando le stragi di civili al tempo dell’attacco contro le brigate ribelli nell’autunno-inverno 2016. A suo dire occorre che la comunità internazionale non resti passiva.
Le immagini che arrivano dalla cittadina assediata a una ventina di chilometri dalle periferie orientali della capitale sono quelle di palazzi distrutti, gente che cerca disperatamente ripari nelle cantine, tra le rovine già ripetutamente colpite. Sei cliniche locali sono state colpite, e gli ambulatori mancano di tutto, sono segnalati decessi per denutrizione, non c’è acqua potabile, i pozzi sono inquinati. «La situazione è catastrofica. I civili non sanno dove scappare. Migliaia di persone sono troppo deboli per muoversi», denunciano i dottori locali.
Ma il regime è davvero deciso a proseguire. Da Ghouta le brigate ribelli periodicamente sparano missili verso il cuore di Damasco. Secondo i media ufficiali, negli ultimi giorni almeno otto persone sarebbero state uccise dai proiettili sparati dall’enclave assediata. Assad si sente forte. Le vittorie riportate dalle sue truppe assieme agli alleati negli ultimi mesi aumentano la sua determinazione. Dopo la vittoria di Aleppo ha costretto i nemici sconfitti nella zona di Idlib a Nord. Se riuscisse a prendere Ghouta guadagnerebbe di popolarità tra i suoi seguaci e persino tra una parte dei suoi critici nella capitale che però sono stanchi di guerra e sofferenze. La cittadina ha sempre costituito una spina nel fianco per il regime. Da qui sono partiti tanti degli attentatori suicidi che hanno colpito nel cuore della capitale. Dunque Assad non si fermerà, anche a costo di causare altri massacri di civili.