Le parole del secolo scorso (pronunciate a caso)
Tra i pochi elementi almeno un po’ scintillanti della campagna elettorale c’è il curioso fenomeno delle parole desuete. Probabilmente, anche il linguaggio si è stancato, dunque alcune vecchie parole tornano straccamente, in mancanza di meglio, pronunciate a casaccio. Da tempo, per esempio, che non si sentiva accusare qualcuno di essere il «mandante morale» di qualcosa, come accadde a Camilla Cederna negli anni 70 (per l’omicidio Calabresi) e come è accaduto di recente a Salvini, diventato «mandante morale» del razzista di Macerata. E lunedì dall’armamentario degli stessi anni di piombo D’alema ha riesumato un’espressione già allora discutibile per rovesciarla (ironicamente?) su Prodi: il «compagno che sbaglia». Tra i ritorni stranianti ci sono poi i «cattivi maestri», che una volta erano gli intellettuali di ultrasinistra «fiancheggiatori del terrorismo» e adesso invece si trovano a sinistra o a destra a seconda che l’accusatore sia schierato a destra o a sinistra. Additato come «cattivo maestro», Salvini si è talmente irritato da invitare gli avversari a misurare le parole come se lui prima di parlare consultasse il Vocabolario della Crusca. Senza dimenticare che c’è sempre Giorgia Meloni che, andando a pescare addirittura negli archivi risorgimentali, marcia fiera verso il futuro con i suoi «patrioti». Ma il vero colpo di fantasia, in tanta usura lessicale, è arrivato dal titolare dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, il ministro più giovane e più tecnologico, che contro la multinazionale brasiliana Embraco si è lasciato sfuggire un desuetissimo «gentaglia!». Aggettivo da nonni, molto amato da Foscolo («questa galante gentaglia!») e da Nievo («questa gentaglia mi stomaca»). Mandanti morali o cattivi maestri? No, Ugo e Ippolito compagni che sbagliano.