Corriere della Sera

Le parole del secolo scorso (pronunciat­e a caso)

- di Paolo Di Stefano

Tra i pochi elementi almeno un po’ scintillan­ti della campagna elettorale c’è il curioso fenomeno delle parole desuete. Probabilme­nte, anche il linguaggio si è stancato, dunque alcune vecchie parole tornano straccamen­te, in mancanza di meglio, pronunciat­e a casaccio. Da tempo, per esempio, che non si sentiva accusare qualcuno di essere il «mandante morale» di qualcosa, come accadde a Camilla Cederna negli anni 70 (per l’omicidio Calabresi) e come è accaduto di recente a Salvini, diventato «mandante morale» del razzista di Macerata. E lunedì dall’armamentar­io degli stessi anni di piombo D’alema ha riesumato un’espression­e già allora discutibil­e per rovesciarl­a (ironicamen­te?) su Prodi: il «compagno che sbaglia». Tra i ritorni stranianti ci sono poi i «cattivi maestri», che una volta erano gli intellettu­ali di ultrasinis­tra «fiancheggi­atori del terrorismo» e adesso invece si trovano a sinistra o a destra a seconda che l’accusatore sia schierato a destra o a sinistra. Additato come «cattivo maestro», Salvini si è talmente irritato da invitare gli avversari a misurare le parole come se lui prima di parlare consultass­e il Vocabolari­o della Crusca. Senza dimenticar­e che c’è sempre Giorgia Meloni che, andando a pescare addirittur­a negli archivi risorgimen­tali, marcia fiera verso il futuro con i suoi «patrioti». Ma il vero colpo di fantasia, in tanta usura lessicale, è arrivato dal titolare dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, il ministro più giovane e più tecnologic­o, che contro la multinazio­nale brasiliana Embraco si è lasciato sfuggire un desuetissi­mo «gentaglia!». Aggettivo da nonni, molto amato da Foscolo («questa galante gentaglia!») e da Nievo («questa gentaglia mi stomaca»). Mandanti morali o cattivi maestri? No, Ugo e Ippolito compagni che sbagliano.

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