Corriere della Sera

Va punito chi fa reati, non chi potrebbe farli Ecco tutte le incognite dell’agente provocator­e

- Raffaele Cantone Presidente Anac Gian Luigi Gatta Ordinario di Diritto penale Università Statale di Milano

Caro Direttore, in questi giorni un’inchiesta giornalist­ica, cui ha fatto seguito l’apertura di un’indagine giudiziari­a, ha rinfocolat­o la polemica sull’uso degli agenti provocator­i per prevenire e contrastar­e la corruzione. Senza entrare nel merito della vicenda, sembra opportuno intervenir­e nel dibattito per sottolinea­re quanto sia problemati­co ricorrere a qualcuno, in genere un appartenen­te alle forze dell’ordine, che istiga a commettere un reato per assicurare alla giustizia chi non ha ancora compiuto alcun delitto. Quando un falso imprendito­re propone a un amministra­tore pubblico una tangente sta infatti creando artificial­mente un reato che non sarebbe stato commesso in assenza della «provocazio­ne».

L’agente provocator­e è figura ben diversa da quella dell’infiltrato che agisce «sotto copertura» in un’indagine giudiziari­a relativa a un reato (ad esempio il traffico di droga) che è già stato ideato e sta per essere commesso. La differenza sta tutta qui: l’agente provocator­e crea il reato attraverso una messa in scena, l’agente infiltrato si limita a disvelare un’intenzione criminosa già esistente.

In Italia le operazioni sotto copertura sono da tempo oggetto di un’apposita disciplina, limitata ad alcuni reati, volta a escludere la responsabi­lità penale dell’infiltrato, in base alla giustifica­zione che il suo concorso nei fatti sia stato posto in essere per fini investigat­ivi. Mentre si può certamente discutere sull’opportunit­à di estendere questa tecnica investigat­iva alla corruzione, ben più delicato sarebbe sdoganare il ricorso all’agente provocator­e.

Le ragioni che suggerisco­no di utilizzare la massima prudenza sono molteplici e, in ultima analisi, si richiamano all’esigenza, insopprimi­bile, di garantire il rispetto di diritti fondamenta­li del cittadino di fronte alla giustizia penale. Non è questione di garantismo, bensì di ossequio ai principi dello Stato di diritto delineato dalla Costituzio­ne.

Anzitutto va ricordato quel che si insegna agli studenti di giurisprud­enza: il compito della giustizia penale è punire (e perseguire) coloro che hanno commesso reati, cioè fatti socialment­e dannosi, non coloro che si mostrano propensi a commettern­e. In secondo luogo, è opportuno riflettere sul fatto che uno Stato che mette alla prova il cittadino per tentarlo e punirlo, se cade in tentazione, non riflette un concetto di giustizia liberale. D’altra parte si tratta di una pratica investigat­iva che, all’evidenza, si può prestare ad abusi: chi decide chi, quando e come provocare?

Le indagini si iniziano quando si ha notizia della commission­e di un reato, cioè di un fatto realmente accaduto e contrario alla legge penale. Quand’è invece che si inizia a provocare per verificare l’integrità o la propension­e a delinquere di questa o quella persona?

I dubbi che solleviamo trovano conferma tanto in Europa, dove il ricorso all’agente provocator­e è molto raro, quanto negli Stati Uniti, dov’è invece più frequente ma non meno problemati­co. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha in più occasioni condannato Paesi membri del Consiglio d’europa (ad esempio la Lituania) per l’impiego ritenuto illegittim­o di questo istituto. Affermando un principio vincolante per l’ordinament­o italiano, la Corte di Strasburgo — proprio in relazione a vicende di corruzione — ha dichiarato inammissib­ile il ricorso all’agente provocator­e allorché si accerti che il reato non sarebbe stato commesso senza la provocazio­ne. Quanto agli Usa, spesso nel dibattito pubblico invocati come esempio da seguire in questa materia, il Model penal code prevede che l’induzione al reato (il cosiddetto entrapment) da parte dell’agente pubblico possa essere utilizzata come tesi difensiva per chiedere l’assoluzion­e se l’imputato riesce a dimostrare che, senza la provocazio­ne, non avrebbe compiuto il reato. Un’argomentaz­ione, come ha scritto un giudice della Corte suprema già nel 1932, riconosciu­ta proprio per garantire il cittadino da possibili abusi della polizia.

d Uno Stato che mette alla prova il cittadino per tentarlo e punirlo, se cade in tentazione, non riflette un concetto di giustizia liberale

Il no dell’europa

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato più Paesi che ne facevano uso

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l’inchiesta giornalist­ica ha dato il via a un’indagine della Procura di Napoli

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