Corriere della Sera

Saluti romani? Se chi li fa commemora non è reato

- Di Fulvio Fiano

Non tutti i saluti romani sono uguali. È reato quello che sottintend­e violenza, perché costituisc­e un attentato concreto all’ordine democratic­o. È consentito quello che ha intenti commemorat­ivi dell’epoca fascista. Distinguer­li sarà difficile e la decisione con cui la Cassazione ha ieri confermato l’assoluzion­e due esponenti di Casapound, che avevano esibito braccio teso e mano dritta, apre altri possibili fronti di polemica politica in una campagna elettorale dove il ventennio mussolinia­no è già un catalizzat­ore di scontri e tensioni. Segni e simboli dell’ideologia fascista in sé non sono vietati dalla legge, è il ragionamen­to dei supremi giudici. Marco Clemente e Matteo Ardolino, membri di Casapound, durante una manifestaz­ione organizzat­a a Milano nel 2014 da Fratelli d’italia, rispondend­o alla «chiamata del presente», avevano fatto il saluto romano, trovandosi così imputati per «concorso in manifestaz­ione fascista»,

La sentenza

I supremi giudici assolvono due militanti di Casapound

reato previsto all’articolo 5 della legge Scelba. Nell’autorizzar­e la commemoraz­ione la questura aveva diffidato gli organizzat­ori dall’uso di bandiere e simboli quali le croci celtiche. Divieto disatteso, ma senza che il corteo venisse interrotto. I video avevano in seguito consentito di individuar­e i due imputati e altri due manifestan­ti, tra cui l’ex consiglier­e provincial­e di Fdi, Roberta Capotosti, poi prosciolti nel 2016 da analoghe accuse. Già allora la Cassazione aveva sottolinea­to che il reato previsto dalla legge Scelba è «in pericolo concreto, che non sanziona le manifestaz­ioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attesa le libertà garantite dall’articolo 21 della Costituzio­ne, ma soltanto ove le stesse possano determinar­e il pericolo di ricostituz­ione di organizzaz­ioni fasciste, in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretame­nte alla tenuta dell’ordine democratic­o e dei valori ad esso sottesi». Diverso sarebbe stato, secondo la suprema Corte, intonare ad esempio «all’armi siam fascisti», ritenuto inno all’odio e alla violenza e quindi punibile per legge.

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