I cinque segreti di Cometa scuola-impresa modello in Ue
In gergo si chiama modello scuolaimpresa, in pratica si chiama Scuola Oliver Twist-cometa Formazione, ha sede a Como e rappresenta quella che il direttore della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto chiama un’esperienza «dai contorni originali e diversi rispetto agli standard della scuola italiana». Un percorso professionale, un liceo delle scienze applicate e uno scuolalavoro per riportare chi vorrebbe abbandonare gli studi in un percorso tradizionale. Alla Oliver Twist si entra con test di ammissione e i posti sono un centinaio all’anno, i docenti in tutto una cinquantina. Si impara lavorando: il processo di produzione coincide con quello di apprendimento, in una realtà territoriale, il comasco, che riesce a far convivere la formazione con le attività economiche. E c’è un po’ di tutto tra gli studenti: ragazzi con disabilità, in carico ai servizi sociali, stranieri con difficoltà di integrazione, ragazzi con famiglie in difficoltà, fragili e vittime: quelli che gli inglesi chiamerebbero i drop out. Due anni fa la European Training Foundation della Commissione europea ha riconosciuto che il modello Cometa è tra le dieci migliori realtà europee. Ma che modello è il modello Cometa? Se lo sono chiesti anche loro e hanno commissionato uno studio promosso dalla Fondazione Agnelli e curato dall’università di Milano Bicocca: sei mesi di ricerca per capire i motivi del successo e l’eventuale replicabilità del progetto. Progetto costoso, che viene finanziato quasi per la metà dalla regione Lombardia, per un terzo dalle vendita dei prodotti (catering, falegnameria e tessile) e per il restante da donazioni e contributi privati. «È un lavoro che seguiamo e sviluppiamo giorno per giorno — dice il direttore Alessandro Mele — vengono a trovarci dall’estero ma anche da altre realtà italiane per sviluppare progetti come il nostro». Il segreto secondo gli esperti della Bicocca, coordinati da Susanna Mantovani, è in cinque dettagli: «Cometa offre molto ai propri studenti perché chiede molto ai propri docenti», scrive nella relazione finale. Insiste su un’ampia rete di donatori e sostenitori, ha una figura carismatica centrale e fa riferimento a una lezione forte come quella di don Giussani, riesce a dare risposte efficaci anche non convenzionali alle esigenze del territorio e dedica una lodevole attenzione alle potenzialità dei ragazzi.