Corriere della Sera

LA BATTAGLIA (E I RITARDI) PER SALVARE VENEZIA

Nel ‘68 Montanelli parlò di corrosione. Il degrado di oggi visto da 7

- Di Gian Antonio Stella

«Otto de sera. Camino verso el Pontil del Monumento, trovo un grupeto de turisti. “Scusi”, i me dixe, “a che ora chiude?”. Rispondo: “Tranquilli: i vaporetti vanno, più rari, anche la notte”. I me varda: “Non i vaporetti: Venezia! Quando chiude, Venezia?”. Robe da mati: i credeva che Venessia fosse un parco turistico!».

Non c’è aneddoto come questo, raccontato da Gianpietro Zucchetta, barba alla capitano Achab, perito giudiziari­o per mestiere, marinaio per passione, autore di vari libri su Venezia, i suoi ponti, i suoi rii, che spieghi meglio la beata ignoranza con cui immani moltitudin­i di persone visitano «la più bella città del mondo» nella totale insipienza. Come visitasser­o la location di uno sceneggiat­o o i baracconi degli Universal Studios. Decine e decine di immagini, del resto, documentan­o il degrado di questi anni. Ciccioni sudaticci che solcano le calli panza in fuori senza camicia, sozzoni che pisciano dove capita, donne orientali che massaggian­o il marito seduti in acqua, tuffi di bulli dai ponti di Calatrava o di Rialto, abbuffate collettive coi pentolini in mezzo alle piazzette, sacchi a pelo, coppiette che fanno sesso, mucchi di immondizie, un ragazzotto che fa il bidè in una fontanella, nudisti che fanno il bagno nei canali, spiritoson­i con le bici d’acqua… Uno sconcio che, dopo decenni di polemiche, solo da poco comincia finalmente (esempio: il numero chiuso a Carnevale) ad essere affrontato.

«Il processo di corrosione non si limita alle pietre, alle case, alle cose», scrisse nel 1968 Indro Montanelli, che di Venezia fu innamorati­ssimo e deluso: «Ha intaccato la fibra morale degli uomini, il loro coraggio, la loro volontà di sopravvive­re». Aveva allora, la città storica, 116.270 abitanti. Ne ha oggi, come ricorda il conta-residenti collegato all’anagrafe e in vetrina alla farmacia Morelli (Dio la benedica) 53.979. Meno della metà. E quando 7 sarà in edicola, purtroppo, dovrebbero essere ancora meno…

Tre decenni dopo l’alluvione, dopo le battaglie per salvare la città, dopo le cause giudiziari­e scatenate contro di lui dal sindaco Giovanni Favaretto Fisca, il grande Indro tornò sul tema nel ‘96, rispondend­o a un lettore: «Quanto al vecchio amore per Venezia, debbo confessarl­e che si è anch’esso consumato quasi quanto la Fenice. Come scrissi in tempi lontani, e come ormai mi sono stancato di ripetere, Venezia non aveva, per restare Venezia, che una scelta: mettersi sotto la sovranità e il patronato dell’onu per riceverne il trattament­o, che certamente le sarebbe stato accordato, dovuto al più prezioso diadema di una civiltà non italiana, quale la Serenissim­a mai fu né mai si sentì, ma europea e cristiana, intesa unicamente alla conservazi­one di se stessa, quale tutto il mondo civile la vorrebbe. Venezia invece preferì diventare l’appendice, anzi l’anticaglia o il robivecchi di Marghera mettendosi al rimorchio delle sue ciminiere e petroliere, cui sacrificò anche tutto il suo delicatiss­imo sistema idraulico (…) Ed il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: un turismo di massa con la merenda al sacco, che fa i suoi bisogni sotto i loggiati…».

Sarebbe bastata, l’onu? Mah… Altri vent’anni e sul tema sono tornati, sempre più allarmati, il New York Times, il Guardian e altri: «Venezia è come Disneyland». Finché il National Geographic si è spinto a scrivere: «Chi ama Venezia con coscienza ha il diritto di incoraggia­re altri a visitarla?». Domanda scomoda.

Numero chiuso Lo sconcio inizia a essere affrontato: per esempio col Carnevale a numero chiuso

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