LA RIFORMA CHE FA BENE AL CARCERE E ALLA SOCIETÀ
IL PROBLEMA ESISTE DAVVERO MA LA FLAT TAX È DANNOSA
C aro direttore, la flat tax conviene ai ricchi. Un lavoratore dipendente che guadagna 1.000 euro al mese, 12 mila euro l’anno, gode oggi della detrazione degli 80 euro e non paga l’irpef. Un ricco calciatore che guadagna 12 mila euro al giorno si metterà in tasca un milione di euro in più. Già oggi 6 contribuenti su 7 hanno un’aliquota Irpef inferiore al 23%. Tutti questi avranno benefici limitati o nulli. «D’accordo — dicono Berlusconi e Salvini — ma nessun contribuente pagherà di più e la maggior parte avrà qualche vantaggio. Voi contrari siete la solita sinistra che vuole fare piangere i ricchi».
Chi pagherà il conto? Secondo loro nessuno. La versione di Salvini: emergeranno decine di miliardi dagli evasori che commossi dal gesto inizieranno a versare fino all'ultimo centesimo. È davvero così? Nemmeno per sogno. La flat tax riguarda solo le tasse sui redditi (Irpef e Ires). Non cambia l’iva e i contributi sociali. L’evasione fiscale parte dall’iva. Occultando l’iva su quello che N on solo il voto del 4 marzo: sono in realtà due le campagne elettorali — quella dei partiti e quella dei magistrati — che insidiano, dopo quasi 3 anni di commissioni di studio e iter legislativi, l’ancora incerto varo del primo dei decreti legislativi (quello sulle misure alternative e la sanità carceraria) di riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975.
«Sarebbe molto preoccupante, da parte della classe politica, assecondare dinamiche elettorali che non consentissero l’approvazione di una riforma così importante», constata il presidente dell’associazione nazionale magistrati, Eugenio Albamonte. Vero. Ma non c’è solo la spasmodica concorrenza elettorale tra Lega, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’italia e (nel penultimo passaggio in Senato) Forza Italia a chi la spara più grossa per spartirsi il dividendo della paura lucrato sulle alterate percezioni della (in)sicurezza. E nemmeno ci sono solo i timori della maggioranza di pagare dazio elettorale proprio a ridosso del 4 marzo se Palazzo Chigi mantenesse l’impegno a fare domani il penultimo passo della riforma (accogliendo i miglioramenti proposti dal parere della Commissione giustizia della Camera ma non i rilievi demolitori del Senato), e poi il passo definitivo entro i 10 giorni dell’ultimo parere.
A pesare molto nella contraerea mediatica, invece, è anche un’altra campagna elettorale in corso: quella dei magistrati per il rinnovo in estate del loro autogoverno nel Consiglio superiore della magistratura. In vista del quale non è ad esempio un caso che tra i magistrati più impegnati ad accreditare l’idea di un ennesimo vende, l’evasore giustifica anche un reddito più basso. Quindi prima di ammettere un reddito più alto dovrebbe dichiarare spontaneamente maggior Iva, senza avere alcun «vantaggio». Il gettito fiscale italiano ammonta a circa 730 miliardi di euro. Se la flat tax alleggerisse il conto di 50 miliardi, porterebbe a una riduzione complessiva del 7%. Quindi si andrebbe dall’evasore promettendo uno sconto del 7%. Domanda: uno che paga zero anziché 100, correndo tutti i rischi associati, con la promessa di uno sconto del 7%, inizierebbe a pagare il dovuto? svuotacarceri spicchi il pm catanese candidato al Csm Sebastiano Ardita, ex dirigente 2002-2011 del ministeriale Dipartimento penitenziario, e braccio destro del pure candidato al Csm Piercamillo Davigo nella corrente fondata dall’ex pm di Mani Pulite ed ex presidente dell’anm con la scissione dalla corrente di destra egemonizzata invece da Cosimo Ferri, cioè dal sottosegretario berlusconiano nel governo Letta poi rimasto come «tecnico» nei governi Renzi-gentiloni e ora candidato dal Pd in un collegio sicuro alla Camera: asserito svuotacarceri contro il quale «tutti i magistrati italiani dovrebbero mobilitarsi» perché indirettamente sfalderebbe
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Via gli automatismi Non è vero che i decreti attuativi indeboliranno il regime del «41 bis» e dunque la lotta ai clan
il carcere duro 41 bis e potrebbe liberare i mafiosi.
Peccato che questo spettro — accolto dal parere del Senato, e preso per buono da tv e giornali comprensibilmente sensibili alla «griffe» di magistrati che lo agitano deformando e stravolgendo irrealistiche conseguenze di supposti incastri di norme — semplicemente non sia vero. Non solo perché la delega data nel 2017 dal Parlamento ha imposto al governo di escludere nei decreti attuativi qualsiasi modifica al regime sia del «carcere duro» sia dei reati di associazione mafiosa e terroristica. Ma soprattutto perché per i condannati a una serie di re-
La versione di Berlusconi: via 30 miliardi di trasferimenti alle imprese, cioè tutti, e 40 su 54 miliardi di agevolazioni fiscali. Siccome una parte delle agevolazioni è legata a investimenti già fatti (per esempio gli incentivi alle ristrutturazioni), bisognerà togliere tutte le altre.
Sorvoliamo sul fatto che questi 70 miliardi non basterebbero a coprire neanche la metà delle promesse mirabolanti di Berlusconi, e traduciamo in un italiano semplice cosa accadrebbe se lui realizzasse ciò che promette: 1. via gli 80 euro; 2. il biglietto dell’autobus passerà da 1,50 a 5 euro; 3. si rimetterà l’imu prima casa; 4. si aumenterà il costo dell’acquisto della prima casa (bollo, imposta di registro) del 150%; 5. si reintrodurranno le accise sull’energia elettrica per abitazioni con la potenza di 3kw (oggi esenti), uno scherzetto da quasi 600 milioni di più ai ceti più ati oggi ostativi ai benefici (ma comunque mai per quelli aggravati da finalità di mafia o terrorismo) la riforma eliminerà soltanto le rigide presunzioni legali di irrecuperabilità sociale. Non significa che diventerà automatica la concessione di misure alternative al carcere per residui di pene sotto i 4 anni (oggi 3), ma solo che si aprirà una possibilità affidata sempre alla discrezionale valutazione, caso per caso, dei magistrati di sorveglianza. Anzi, gli automatismi verranno aboliti pure nella concessione delle misure alternative: perché la riforma abrogherà la legge che sinora consente in modo quasi automatico di espiare alcune pene in detenzione domiciliare,
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Non è buonismo
I dati mostrano che chi sconta parte della pena in misure alternative poi delinque molto meno
aumenterà le verifiche per la concessione delle misure alternative al carcere e i controlli sul comportamento di chi vi venga ammesso, pretenderà dal detenuto impegni concreti a favore della vittima.
Coltiverà insomma, per dirla con il presidente della Commissione di riforma, Glauco Giostra, «l’idea che al condannato si debba dare di più e chiedere di più». Non per sdolcinato buonismo. Neppure come furbetto rimedio all’insufficiente capienza delle carceri (50.517 posti per 58.087 detenuti), come spacciano i conduttori di talkshow urlanti «la gente non ne può più delle pene alternati-
deboli; 6. verranno eliminate le detrazioni per le spese mediche e per gli interessi sui mutui; 7. si tasseranno le borse di studio e gli assegni familiari, oggi esenti da Irpef; 8. le Poste Italiane non consegneranno più le lettere ai piccoli comuni; 9. si chiuderanno Leonardo e Fincantieri; 10. non ci sarà più alcun investimento sulle ferrovie e sulle strade.
Un «pranzo gratis» nell’economia di un Paese è un miracolo che nemmeno Berlusconi e Salvini possono promettere. I commensali alla tavola che loro propongono di apparecchiare sono i ricchi. Ma è bene essere consapevoli del fatto che sono tutti gli altri che faranno la spesa.
Le tasse in Italia sono ancora troppo alte. La riduzione della pressione fiscale dell’1,6% del Pil realizzata negli ultimi 4 anni non è sufficiente. Ma da noi i ricchi pagano già meno che altrove. Le aliquote Irpef sui ve!». E nemmeno solo perché l’articolo 27 della Costituzione (dimenticata da quei magistrati che la sbandierano «più bella del mondo» solo quando conviene loro) stabilisce che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Ma anche, e anzi più ancora, per egoistico interesse: per la convenienza proprio di chi va seriamente cercando più sicurezza contro la criminalità. Direttori e agenti penitenziari, magistrati di sorveglianza e tutte le statistiche attestano infatti come la recidiva, cioé la propensione degli ex detenuti a tornare a delinquere, sia incomparabilmente inferiore (rispetto a quella di chi sconta l’intera pena in carcere) nei condannati che invece ne scontino una parte in serie misure alternative al carcere, specie se abbinate a un reale avviamento al lavoro (il cui relativo decreto attuativo, finalmente dotato di risorse finanziarie, domani a Palazzo Chigi dovrebbe essere rimesso in carreggiata).
Puntare su questo modello serve dunque non a «svuotare» (le carceri), ma a «riempire» (di maggior futura sicurezza) la società. Peccato ce ne si accorga poco. Se 10 detenuti devastassero il reparto di un carcere, finirebbero su tutti i tg e giornali. Ma se, a sostegno della riforma, 10.000 detenuti stanno scegliendo il metodo della non violenza, e con lo sciopero del carrello o il rifiuto della spesa in carcere aderiscono al Satyagraha (digiuno di «insistenza per la verità») della coordinatrice del Partito radicale Rita Bernardini, non valgono un trafiletto. Neppure a fianco delle paginate di pensose interviste di toghe superstar innamorate del tutto-carcere solo-carcere. redditi alti sono simili a quelle degli altri Paesi. Di contro, da noi c’è più evasione, non c’è una vera tassa di successione, come in Germania e Gran Bretagna, e la tassazione patrimoniale è molto inferiore a quella francese. È il ceto medio che paga molto di più in confronto. Le imprese oggi pagano meno di 4 anni fa, ma pagano ancora troppo. Queste dovrebbero essere le priorità per un’ulteriore riduzione delle tasse finanziata da una seria revisione della spesa e da una vera lotta all’evasione, non da macelleria sociale.
La flat tax è una risposta economicamente dannosa, oltre che ingiusta, a un problema vero. Si creeranno più posti di lavoro mettendo un milione di euro nelle tasche di un ricco, o mettendo mille euro nelle tasche di mille famiglie con figli che guadagnano mille o duemila euro al mese?