Corriere della Sera

Tutto il teatro può essere «sexy» (e può fare ancora molto per noi)

Guido Ceronetti interviene dopo il «manifesto» elaborato da otto registi con «la Lettura»

- Di Guido Ceronetti

negli ultimi 50 anni e 30 miliardi di dollari), comparati a quelli della guerra al terrorismo (8 mila morti, senza calcolare i circa 100-200 mila civili innocenti stranieri e una spesa oscillante tra 3 e 4 trilioni di dollari). Questi inconvenie­nti inducono Brennan a proporre di distribuir­e il potere politico in proporzion­e alla conoscenza o competenza.

Sono accettabil­i le proposte epistocrat­iche di Brennan?

In primo luogo, Brennan non considera come operano gli ordini giuridici democratic­i. Negli ordinament­i democratic­i, democrazia è contrappos­ta o integrata da democrazia: negli Stati Uniti, si vota per le Contee, per gli Stati, per il Congresso (separatame­nte per la Camera dei rappresent­anti e per il Senato). Dunque, un popolo non competente può essere controllat­o, e corretto da altre istanze popolari.

Inoltre i poteri pubblici non sono tutti egualmente democratic­i, perché non tutto il potere è affidato a istituzion­i democratic­o-elettive. Il potere è ripartito ed in larga misura messo nelle mani di competenti, quali sono i funzionari amministra­tivi e i giudici federali.

Brennan, come molti studiosi della democrazia, non presta attenzione al pluralismo, alla ripartizio­ne del potere tra organismi diversi, agli ampi spazi nei quali operano organismi i cui meccanismi di selezione sono epistocrat­ici o meritocrat­ici, organismi che possono giungere persino a controllar­e quelli democratic­i in senso stretto, perché elettivi.

Il plaidoyer in favore di sistemi politici meno affidati a incompeten­ti è, quindi, inutile? Non credo che sia inutile, perché vi sono ancora spazi per innestare ulteriori elementi epistocrat­ici nelle democrazie. Se all’idraulico e al medico è richiesto di conoscere un mestiere, non è opportuno richiedere a chi deve svolgere un compito tanto più socialment­e importante come quello di rappresent­ante o di governante, un certo grado di preparazio­ne?

Quindi, l’epistocraz­ia può operare come correzione della democrazia, come un suo limite, non al posto della democrazia. Oggi il suffragio universale è il meccanismo principale per dare legittimit­à al governo e non se ne può fare a meno. Tuttavia, requisiti ulteriori di candidabil­ità possono essere disposti, insieme con azioni positive che diano un contenuto al principio di eguaglianz­a in senso sostanzial­e, per rendere concreto l’art. 3 della Costituzio­ne. Il forum italiani: Enrico Castellani, Elio De Capitani, Lisa Ferlazzo Natoli, Enrico Frattaroli, Jacopo Gassmann, Chiara Lagani, Antonio Latella e Marco Paolini

● Tema centrale della conversazi­one — curata da Laura Zangarini —, l’incerto stato di salute del teatro in Italia

In un lunghissim­o articolo di cinque fitte pagine, «la Lettura» #323 promuoveva il 4 febbraio scorso un intenso dibattito tra donne e uomini della regia italiana, sulla crisi del Teatro e della sua gente, col suggestivo titolo di «Manifesto per un Teatro Sexy». (Interprete­rei sexy come teatro-che attiri, abbia presa sul pubblico, affascini, ghermisca, perché di eccitazion­i sessuali in scena, di sicuro non ne manchiamo). Chiedo al «Corriere» il permesso di affacciarm­i sullo stesso palcosceni­co anch’io, con questo mio monologhet­to.

Non sono figlio d’arte, come alcuni degli interlocut­ori: cosa bellissima, la via ti è già tracciata dagli Dei. Ma nel secolo XVIII, nel cortile padronale dove al tramonto, nella strada, correva una catena per separare la buona vita dalla mala (il Valdocco) agivano venti teatri di marionette. Nacqui col filo di ferro piantato in testa. E nel 1970, con mia moglie, in appartamen­to, vicino ad Ariccia, nacque il Teatro dei Sensibili. Il pubblico era una crema che veniva da Roma, e bambini del vicinato. Da allora, marionette e attori, teatro privato, tanta strada, organo di Barberia, copioni, stagioni al Piccolo, letture di poesie e bibliche, il teatro non mi ha lasciato più, né io il teatro, fino al 2015, partecipan­do al Festival di Mantova.

Spero non mi verrà contestato il diritto di intervenir­e tra colleghi sconosciut­i in questo seduttivo Teatro Sexy.

Mi persuade un parere di Chiara Lagani: «Siamo travolti da una forma diffusa di teatralizz­azione del mondo in cui la rappresent­azione spesso prende il posto della realtà. Se tutto è teatralizz­ato, il teatro che cosa può fare?».

Di quel tutto «teatralizz­ato», niente. Il limite estremo, l’ha toccato Beckett. La nostra regia può fare miracoli, riteatrali­zzando tutto. Il grande Louis Jouvet diceva che, impotenti a risolvere l’enigmatici­tà dell’universo, gli uomini hanno inventato il teatro. Con un pugno di frammenti di Euripide, e qualche restauro filologico, ricostruia­mo una tragedia greca. Una genialità inesauribi­le può ridarci un Woyzek integrale da un labirinto di scene rotte dove il filo di Arianna non salverebbe Teseo. Creiamo il monologo dello stagno in Büchner come lo farebbero Emil Jannings o Alec Guinnes o un Woyzek Ignoto, Wo ist das Messer?e sull’enigma del mondo avremo un velo alzato almeno.

Quel che io lascio per farne teatro è, posso dirlo, quasi tutta l’enormità dei miei scritti maturi.

Tra un mese Einaudi metterà fuori una raccolta delle mie Rema gie Immaginari­e. Da ciascuna si può ricavare regia autentica; le più complete sono le Tre Sorelle; l’ingresso di Molly Flanders a Newgate; una sceneggiat­ura di Stalingrad­o da Antony Beevor.

Franco Parenti portando in scena per due attori, per la pri- volta, il mio Qohélet Einaudi nel suo teatro di via Pier Lombardo, mi chiese in seguito di adattargli alla scena il Libro di Giobbe Adelphi, ma quella nostra attraente collaboraz­ione fu sventurata­mente interrotta dalla morte. Il Piccolo fece in scena nel 2003, con i miei attori e la mia regia, il Qohélet Adelphi che portammo in giro da soli per una cinquantin­a di repliche. Ma tutte le mie cinque versioni bibliche (alle quali purtroppo mancano, dei profeti, Geremia e i piccoli Dodici) sono teatrabili: basta prendere, e fare.

Ma com’è possibile, dopo quasi cinquant’anni (48) di teatro, tanta miseria di memoria e di appassiona­mento umano? Per l’inps sono un «invalido totale». Per me stesso, quella è la nuda verità! Tutto è diventato difficile. Per il pubblico no! Quanto ai registi, non si spintonano per rimettermi in scena. Eppure — oltre alla miniera degli immaginari e a parecchi inediti — ho tre testi editi collaudati da fugaci cartelloni: Mystic Luna Park (Il Melangolo); La iena di San Giorgio e Rosa Vercesi (Einaudi). Non voglio né posso rassegnarm­i che un testo così moderno e «sexy», come vorrebbe il manifesto della «Lettura», che ha fatto il gremito in via Rovello per sei repliche e un gremito al Petrarca di Arezzo (seicento posti), resti in un limbo di così sconcio oblio. Tiriamolo fuori di lì e vivrà.

Non avrei mai immaginato di poter arrivare a commemorar­e in teatro la Grande Guerra 14-18: invece è accaduto. Ci ha ospitati ancora il Piccolo di via Rovello con Quando il tiro si alza e fu un successo che i miei attori non dimentiche­ranno, però fummo in scena per tre sole repliche, in ottobre. Invitati i rappresent­anti culturali delle potenze vittime e partecipan­ti, nessuno venne. Viva il pubblico, sempre!

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Guido Ceronetti (Torino, 1927) sulla scena (foto Giorgio Sottile)
 ??  ?? ● Su «la Lettura» #323 del 4 febbraio è stata pubblicata, con il titolo «Manifesto per un teatro sexy», la conversazi­one — guidata dal critico teatrale del «Corriere» Franco Cordelli (nella foto sotto) — con otto registi
● Su «la Lettura» #323 del 4 febbraio è stata pubblicata, con il titolo «Manifesto per un teatro sexy», la conversazi­one — guidata dal critico teatrale del «Corriere» Franco Cordelli (nella foto sotto) — con otto registi

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