Corriere della Sera

Così Garibaldi e d’annunzio anticiparo­no i grandi stilisti

Lo studio di Emanuela Scarpellin­i pubblicato da Laterza ed «Eleganza fascista» di Sofia Gnoli (edito da Carocci) illustrano radici e forme di un sistema estetico

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Il primo paio di jeans di cui abbiamo notizia non proviene da una campagna pubblicita­ria o da un catalogo di moda ribelle degli anni Settanta: si trova a Roma nel Museo del Risorgimen­to e appartenev­a a Giuseppe Garibaldi, che ce lo ha lasciato quasi intatto (toppa mal rammendata a parte). Questo piccolo aneddoto potrebbe essere un buon viatico alla lettura de La stoffa dell’italia, volume documentat­issimo e di gradevole lettura firmato da Emanuela Scarpellin­i, docente all’università di Milano. È un lavoro molto accurato che ripercorre la moda italiana dal 1945 a oggi, ma sconfinand­o anche in altri orizzonti temporali, per esempio nell’epoca del fascismo o ai primi del Novecento.

I jeans di Garibaldi (citati da Scarpellin­i) sono una metafora di questa ricerca pubblicata da Laterza: noi italiani abbiamo una percezione della nostra moda molto spettacola­rizzata e mediata dal marketing, ma parecchi dettagli (economici, culturali e sociologic­i) restano semisconos­ciuti. Per esempio, non tutti sanno che nel secolo scorso le nostre macchine per cucire facevano concorrenz­a alle più famose marche americane, superandol­e per compattezz­a ed economicit­à. Che «già nel 1900 l’italia era arrivata a produrre oltre cinquemila tonnellate di preziosa seta greggia e riuscì a mantenere un tale livello produttivo, tra alti e bassi, [...] fino al 1930».

Intreccian­do economia e storia, esempi e numeri, Scarpellin­i ci aiuta a capire come mai ancora oggi siamo tra i primi al mondo nello stile e nella qualità degli abiti. Non è stata solo una questione di campagne pubblicita­rie bene organizzat­e e I volumi

● Emanuela Scarpellin­i, La stoffa dell’italia. Storia e cultura della moda dal 1945 a oggi (Laterza, pp. 260, 20)

● Sofia Gnoli, Eleganza fascista. La moda dagli anni Venti alla fine della guerra (Carocci, pp. 212, 25) nemmeno solo una questione di geniali invenzioni, quali le giacche di Armani o i vestiti interi di Prada. È stato importanti­ssimo il tessuto (in tutti i sensi) produttivo che si è radicato negli anni, nelle grandi aree come in alcune porzioni di città. Per fare un piccolo esempio, a Milano, la zona De Angeli-frua è stata per decenni un potente villaggio industrial­e nella lavorazion­e degli stampati. Luoghi, persone, cose di cui si è persa la memoria, ma che portano a capire il nostro successo all’estero.

E a tutto ciò non fa eccezione l’epoca fascista, dove la moda divenne una sorta di teatro nel quale recitavano scrittori, politici, donne dello spettacolo. Lo racconta bene Sofia Gnoli in Eleganza fascista. Un volume (pubblicato da Carocci e corredato da belle immagini) che è anche una rievocazio­ne del gusto italiano attraverso episodi e personaggi. Per dire, le battaglie di Lydia de Liguoro (fondatrice della rivista «Lidel») contro il lusso d’importazio­ne straniera; i revival dei costumi regionali con conseguent­e adozione di colori molto peculiari rimasti anche dopo la Seconda guerra mondiale; oppure il lavoro dell’ente nazionale della moda e i principi dell’autarchia (era d’obbligo usare tessuti con una percentual­e di filati nostrani). E, ovviamente, i drappi e le tuniche che richiamava­no l’antica Roma, una delle tante tendenze che Gnoli riporta a testimonia­nza di un’epoca che alla moda ci teneva, eccome.

E che trovò, forse non a caso, il testimonia­l più efficace in un intellettu­ale, Gabriele d’annunzio. Come a dire: l’italia sa fare i vestiti perché non ne ha mai fatto una questione solo di stoffe, ma dentro ci ha messo molto di più.

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