Corriere della Sera

L’opera sempre più pop

«Miseria e nobiltà» in versione lirica sulle note di Tutino Il compositor­e: dai musical ai film, non ignoriamo la realtà

- Giuseppina Manin

G Perchéli spaghetti arriverann­o in scena davvero. Su enormi vassoi, fumanti e sugosi come da copione. Miseria e nobiltà, la nuova opera di Marco Tutino da venerdì al Carlo Felice di Genova, non poteva prescinder­e da una delle scene più iconiche del grande schermo, la grande abbuffata di Totò, amici e parenti famelici, estasiati davanti al miracolo di un’improvvisa abbondanza. Ma se il film anni ‘50 di Mario Mattoli, nel cast anche Sophia Loren, era fedele alle atmosfere fine ‘800 della farsa di Scarpetta, il libretto di Luca Rossi e Fabio Ceresa per Tutino sposta l’azione al 1946, con il Paese intero, per la prima volta anche le donne al voto per monarchia o repubblica.

I tempi cambiano, la fame resta. «La lotta quotidiana di quei giorni è presente nella memoria di tutti, se non altro per racconti sentiti in casa» avverte Tutino, compositor­e che al cinema ha attinto anche il suo titolo precedente, La Ciociara. «Lo so, il confronto può essere pericoloso — ammette Tutino — ma il vantaggio che se ne ricava è grande: miti così interioriz­zati attenuano la diffidenza che spesso tiene lontano il pubblico dalle nuove opere o dall’opera in generale. Perché di certo tutti conoscono la trama della Ciociara meglio di quella del Trovatore».

Stesso ragionamen­to che doveva aver fatto anche Verdi, abilissimo nel cogliere al volo i testi teatrali più popolari all’epoca, vedi l’ernani di Victor Hugo con polemiche romantiche annesse, o La dama delle camelie di Dumas, scandalosa materia prima di Traviata. Ma tornando a Miseria e nobiltà, a far scandalo stavolta è la fame. Soggetto poco frequentat­o dalla lirica, dove al più, vedi Bohème, si parla di poetica povertà. «Qui invece di scena è la miseria, vera, brutale, per nulla idilliaca — precisa Rosetta Cucchi, regista dell’allestimen­to —. Quella che nel dopoguerra attanaglia­va Napoli, città ferita, violentata, che si dibatte per campare. E sotto la vitalità cela una profonda malinconia».

Così Felice Sciosciamm­occa fa sì lo scrivano, ma solo perché ha perso il posto di maestro elementare, reo di aver rifiutato di prendere la tessera del fascio. «Lo sfondo è una piazza diroccata — prosegue Cucchi —. Dove una donna partorisce da sola un figlio, anche lei in lotta come tutti per sopravvive­re. Perciò la proposta del marchesino Eugenio, un pranzo pantagruel­ico per travestirs­i da nobili da spacciare al padre della bella Gemma, è accolta con entusiasmo. Il cibo è il bene primario, e come accade anche oggi, c’è chi ne ha troppo e chi niente. Da qui la folle gioia scatenata dall’arrivo di un’abbondanza mai vista».

I vesuvi di maccheroni alla pummarola sono per quegli stomaci rattrappit­i come i monti di polenta per Arlecchino: da divorare a mani nude, da infilarsi in tasca, perché domani chissà. «Quanto all’altra scena clou, quella della lettera dettata dal contadino a Sciosciamm­occa, invece di un nipote il destinatar­io stavolta è il re, a cui il poveraccio promette il voto in cambio di qualche soldo». La sostanza non cambia. Comunicati da una radio gracchiant­e, gli esiti del referendum metteranno allo stesso tavolo le parti avverse. «Decise a trovare un accordo di sapore andreottia­no: facciamo la democrazia, purché sia cristiana».

Cenni a un presente che l’opera può più eludere. «Il nostro sguardo — conclude Tutino — è ormai segnato dalla varietà di generi degli ultimi cento anni: dall’operetta al musical, da Totò a Crozza. E il cinema, naturalmen­te». A cui non a caso tanti compositor­i strizzano l’occhio. Vedi Giorgio Battistell­i, che ha tradotto in partitura titoli quali Miracolo a Milano e Divorzio all’italiana. Vedi André Previn che da un altro film icona, Un tram che si chiama Desiderio, ha tratto un’opera fortunata. E mentre Howard Shore ha musicato l’horror di Cronenberg, La mosca, Jake Heggie ha applicato le regole del melodramma a Dead Man Walking di Tim Robbins... Non più rivali ma alleati, opera e cinema cercano nuovi pubblici conniventi.

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I miti popolari attenuano la diffidenza che spesso tiene lontano il pubblico dall’opera in generale Tutino

Dall’800 al 1946 L’azione si sposta al dopoguerra, al centro c’è la fame e la lotta per la sopravvive­nza

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La famosa scena della grande abbuffata di spaghetti di «Miseria e nobiltà», film di Mattoli con Sophia Loren e Totò, nella versione lirica di Marco Tutino
Spaghetti La famosa scena della grande abbuffata di spaghetti di «Miseria e nobiltà», film di Mattoli con Sophia Loren e Totò, nella versione lirica di Marco Tutino

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