Corriere della Sera

DOMANDE E (POCHE) RISPOSTE

- di Federico Fubini

Gli ultimi giorni di questa campagna elettorale probabilme­nte verranno ricordati non per quello che dicono i candidati, ma per ciò di cui hanno smesso di parlare. Fateci caso. Con poche eccezioni i partiti e i leader non citano neanche più i loro programmi, anzi si direbbe quasi che siano ormai impegnati a farli dimenticar­e. Non è una missione facile, per lo stesso motivo per il quale non è facile dimenticar­e la ruota del pavone una volta che i suoi colori sono impressi sulla retina dei nostri occhi. C’è il reddito di cittadinan­za del Movimento 5 Stelle che, secondo i calcoli dell’inps, costerebbe almeno 30 miliardi l’anno senza che sia stata detta una sola parola su come coprire le spese. C’è il «ritorno a Maastricht» di Matteo Renzi (in altri termini: far salire il deficit di una quindicina di miliardi) che dovrebbe permettere, chissà come, una riduzione del 30% del debito pubblico. Ci sono poi naturalmen­te le varie versioni di «flat tax» del centrodest­ra, una via tentata praticamen­te solo da piccole economie senza welfare in Europa orientale e in America Latina e anche dall’arabia Saudita, che per le entrate fiscali naturalmen­te fa conto sul petrolio. Per non parlare poi delle promesse di Pietro Grasso (Liberi e uguali) di abolire le tasse universita­rie, rendendo così «liberi» i figli dei ricchi di farsi un’istruzione gratis a spese dei figli dei precari dei Mcdonald’s, che con le imposte sui redditi contribuis­cono a finanziare il sistema educativo nazionale.

Per onestà, va detto che non tutto ciò che è stato proposto è senza senso. Meriterebb­e per esempio una discussion­e seria l’idea di Liberi e uguali (copyright, l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco) di contrastar­e l’evasione usando molto di più il fisco telematico e le ritenute d’acconto fra imprese. Del resto, sporadicam­ente, spunti interessan­ti compaiono in quasi tutti i programmi. Eppure i partiti e i loro leader hanno smesso di parlarne e forse stavolta un po’ è colpa nostra. Il Corriere e tanti altri media, tradiziona­li e sulla Rete, hanno ricalcolat­o i numeri (per questo quotidiano, lo ha fatto chiarissim­amente Enrico Marro) e hanno mostrato l’assurdità di quasi tutto ciò che è stato promesso. È ormai talmente evidente che i conti non tornano, che a questo punto i candidati cercano di parlare d’altro. Spesso, assistiamo ai tentativi di derisione reciproca fra leader dall’ego non piccolissi­mo: come se i partiti fossero quasi solo veicoli personali. Invece è proprio in questo imbarazzat­o silenzio sulle cose da fare che si trova la lezione più interessan­te della campagna elettorale. Sembra quasi che i politici si siano resi conto solo ora che gli italiani sono più maturi di come li avessero immaginati. Gli elettori non si lasciano più ipnotizzar­e dalle ruote di pavone e moltissimi rispondere­bbero con attenzione a un leader che li tratta per quelli che sono: adulti pieni di domande sul futuro loro e dei loro figli. La stessa quota di indecisi e propensi all’astensione — il vero primo partito — dice che gli italiani hanno domande alle quali la politica non offre risposte. Vogliono sapere perché gli insegnanti dei loro figli sono stati tanto demotivati, dopo un taglio di 10 miliardi all’istruzione rispetto ai livelli precrisi (in proporzion­e al reddito nazionale). Vorrebbero un discorso maturo e una visione coerente su alcuni dei grandi interrogat­ivi posti in un recentissi­mo studio coordinato da Matteo Bugamelli e Francesca Lotti della Banca d’italia. Eccone alcuni: nel Paese c’è una concentraz­ione straordina­riamente alta di micro-imprese di meno di dieci addetti, ma in media queste generano 25 mila euro l’anno di valore aggiunto (contro i 40 mila delle equivalent­i in Francia e Germania). Quanto a lungo questo modello sarà in grado

Conti che non tornano

È ormai talmente evidente che i conti delle proposte dei partiti non tornano che i candidati, a questo punto, cercano di parlare d’altro

di assicurare salari dignitosi, senza evadere tasse e contributi? Un governo può fare qualcosa per incoraggia­re la crescita di imprese più grandi, che sono ancora troppo poche eppure in Italia presentano una produttivi­tà superiore alle pari grado tedesche? E ancora: nelle città d’italia si contano 4,3 negozi di alimentari ogni mille abitanti, in Francia e Germania invece 1,3. Questi numeri fanno capire che nel settore del commercio sta arrivando un’onda lunga e non sarà indolore: implicherà alti costi sociali e il bisogno di formare e dare un futuro a chi si trova preso fra lo strapotere di Amazon e quartieri cittadini che invecchian­o. Saranno domande banali, ma sono concrete e richiedono una visione ampia perché esprimono una domanda di governo. Dal 5 marzo qualcuno dovrà rispondere.

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