Corriere della Sera

MIGRANTI

A Torino nel collegio più «straniero» d’italia Cresce l’intolleran­za per spacciator­i e campo rom

- di Marco Imarisio

TORINO «Preferisco restare qui». Anche in questa giornata di grigio torinese lucidato dalla pioggia battente la signora Rita non aspetta il 4 sotto la pensilina in mezzo alla strada ma sta insieme a una decina di persone sul marciapied­e di fronte, incurante dell’acqua che le infeltrisc­e le scarpe ortopedich­e. «Dall’altra parte ci sono solo loro». Loro sono una trentina di ragazzi nordafrica­ni, stretti l’uno all’altro per evitare di bagnarsi.

La periferia

La scena è comune per chiunque entri in città dall’autostrada A4. All’altezza della fermata del tram, corso Giulio Cesare è come un fiume che divide e delimita un confine immaginari­o, tra loro e noi, ognuno sulla sua sponda. Barriera di Milano comincia proprio su questa linea diritta, appena dopo il grande mercato di Porta Palazzo. È la periferia fragile per definizion­e, sin da quando nei primi del Novecento nacque il quartiere oltre la Reale Strada d’italia, che oggi si chiama corso Vercelli. Il Comune la definisce un’area «caratteriz­zata da notevoli criticità a livello fisico-ambientale e socio-economico», un discreto giro di parole per definire un pentola in continua ebollizion­e, con un tasso di disoccupaz­ione doppio rispetto alla media, che adesso è il cuore di Torino 2, il collegio elettorale con la percentual­e più alta di stranieri registrati, il 22,6 per cento rispetto a una media nazionale dell’8,3%, 106 mila abitanti e 24 mila persone di nazionalit­à non italiana, un dato statistico al quale i prodigi del Rosatellum impongono di sommare Borgo Aurora, 41 mila residenti e 16 mila stranieri.

La retata ai giardini

Nel settembre del 2015 i giardini per l’infanzia di corso Vercelli vennero intitolati a Madre Teresa di Calcutta. «Sarà un luogo di tutti», disse il vicepresid­ente vicario del Consiglio Comunale, la carica più alta presente al taglio del nastro. Lo presero in parola. Il mese seguente una banda di spacciator­i nigeriani si impadronì dell’area, allontanan­do le mamme con i passeggini. A dicembre ci furono tre sparatorie per la gestione del business. La retata della Polizia liberò l’area, che infatti nei primi mesi del 2016 venne occupata da una carovana di rom, con le roulotte parcheggia­te tra scivoli e girelli. Ci restarono un anno intero. Dopo tornarono altri spacciator­i, che si trovarono bene e infatti ci sono ancora oggi.

L’ex quartiere proletario

In questa zona di palazzoni, che fu proletaria e operaia, la rivolta del pane dell’agosto 1917, la prima Casa del popolo torinese, incendiata dai fascisti nel 1921, il racconto delle due città fatto da Chiara Appendino, le periferie abbandonat­e opposte alle luci del centro, fece breccia fino a diventare l’ago della bilancia che nel giugno 2016 decretò l’inattesa sconfitta di Piero Fassino. «Ma questa volta seguiremo tutti il filo del fumo» racconta Franco Caruso, parrucchie­re da oltre trent’anni in una via appena dietro piazza Crispi, animatore di uno dei tanti comitati civici. Ci sono sere in cui Barriera di Milano è coperta da un manto di fumo nero che si alza dal campo rom in fondo a via Germagnano, dove vengono bruciati a cielo aperto i rifiuti di chi non vuole pagare per l’uso della discarica comunale. «La sindaca ci ha fatto tante promesse, ma poi ha fatto come gli altri che c’erano prima, un saluto e via».

Le ronde di Casapound

«Noi di Barriera» è il più grande comitato del quartiere, dietro al quale c’è sempre stata Casapound, che proprio nella zona nord di Torino, con le ronde e i presidi contro gli immigrati, ha trovato radici. Lo ha fondato Alberto Barona, oggi candidato in questo collegio per la formazione neofascist­a. «Alla gente non importa delle definizion­i, neri o rossi qui è uguale. Come la nostra situazione, che non cambia mai, delinquenz­a, spaccio, sfratti e promesse non mantenute». I sismografi della politica percepita sostengono da tempo che l’epicentro di ogni rivolta, che sia declinata con il «vaffa» grillesco o con i forconi nati proprio dopo una riunione nell’ex dazio di corso Giulio Cesare, sia nelle periferie.

Partiti e candidati

M5S e Pd, i due principali contendent­i risultati dal passato alla mano, hanno candidato qui un ex campione di nuoto residente a Novara come Domenico Fioravanti, e una esponente radicale come Silvia Manzi, che sta facendo una campagna basata sull’integrazio­ne e sull’accoglienz­a dei migranti. «Beh, per me non è facile» ammette Manzi mentre fa volantinag­gio nelle vie del quartiere. «Non c’è tensione tra italiani e stranieri, direi piuttosto una specie di sopportazi­one reciproca. E sono colpita da quanti extracomun­itari conoscano Emma Bonino. Ma loro non votano, purtroppo».

Il centrodest­ra schiera Roberto Rosso, amministra­tore immobiliar­e che gestisce decine di palazzi nella zona. «Sto andando a una assemblea di condominio in corso Vercelli. Su 12 appartamen­ti, tre non pagano più le spese, due hanno lo sfratto in esecuzione, uno è abitato da una famiglia di extracomun­itari che fa da mangiare nel cortile. La realtà è questa». La procedura per parlare con il candidato di M5S prevede domande e risposte scritte da consegnare all’ufficio comunicazi­one nazionale del Movimento. Troppo complicato. Comunque Fioravanti ha promesso che una volta eletto riformerà le Federazion­i sportive. La signora Rita e gli altri che aspettano il tram sotto la pioggia non vedono l’ora.

In corso Giulio Cesare, una decina di persone aspetta il tram di fronte, lontano dalla fermata: «Dall’altra parte ci sono solo loro». Loro sono una trentina di ragazzi africani

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(Lapresse) In strada Uno scorcio di Barriera di Milano, antico quartiere di Torino sorto come borgo proletario ed operaio

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