Telefonate, tracce, spostamenti Dubbi e misteri sul caso di Pamela
Macerata, sequestrate le cartelle cliniche
ROMA Novanta telefonate in 12 ore «senza significativi periodi di silenzio». Proprio l’arco temporale, secondo l’accusa, in cui Desmond Lucky — uno dei presunti assassini di Macerata — il 30 gennaio scorso era non solo reduce dall’omicidio di Pamela Mastropietro, ma anche intento a martoriarne il corpo. È l’«anomalia» — la definisce così — rilevata dal gip Giovanni Maria Manzoni nell’ordinanza di convalida del giovane e del suo connazionale Lucky Awelima. E non sarebbe l’unica, secondo il giudice, nelle indagini sulla morte della diciottenne romana. Manzoni infatti, nonostante riconosca i pesanti indizi sui due indagati in carcere ad Ancona, nel caso di Desmond (come più avanti anche per l’altro) sottolinea la «ferma necessità di attendere per una più compiuta valutazione i risultati delle indagini dei carabinieri del Ris, che potranno aggravare il quadro indiziario o minare lo stesso, evidenziando profili di verosimile estraneità ai fatti dell’indagato». Risultati fondamentali, che i tecnici dell’arma di Roma riporteranno la settimana prossima nella relazione da inviare in Procura su centinaia di tracce biologiche e impronte già isolate da asse- gnare ai protagonisti della vicenda (ma qualcuna potrebbe non avere un «proprietario»).
Una svolta su chi c’era e chi ha fatto cosa attesa da quasi un mese, sulla quale il procuratore Giovanni Giorgio ha vietato «ogni divulgazione al fine di non compromettere ulteriori indagini». A Macerata però la tensione continua a essere alta, con minacce alla famiglia del sindaco Romano Carancini e a un paio di strutture che accolgono migranti (la polizia ha già individuato i responsabili), e anche nella tragica vicenda di Pamela i colpi di scena non mancano.
L’attenzione del gip si è però concentrata soprattutto su Anthony Anyanwu, il quarantenne al quale Innocent Oseghale, affittuario dell’appartamento di via Spalato dove Pamela è morta e ora detenuto ad Ascoli (il giudice non gli contesta l’omicidio ma il vilipendio e l’occultamento di cadavere, e da ieri, come spiegano i suoi avvocati difensori Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, gli è proibito contattare la figlia piccola), raccontò per telefono che la giovane si era sentita male per un’overdose, esortandolo a chiamare un’ambulanza.
Manzoni definisce Anyanwu «soggetto non esente da sospetti» con «un ruolo non privo di ombre». Altri misteri. Che si aggiungono a difficoltà di analisi dei tabulati telefonici (il giudice è stato «costretto a un difficile tentativo autonomo di elaborazione») e al dubbio che nella traduzione dal nigeriano all’italiano delle conversazioni fra Awelima in fuga verso Milano e un suo conoscente ci possa essere stata in realtà «un’inversione dei ruoli».
I familiari di Pamela hanno intanto ottenuto l’acquisizione della cartella clinica dalla comunità di Corridonia gestita dalla Pars. E denunciano: «Le pagine sulle terapie sono in parte illeggibili, nei rapporti risulta che abbia riferito di sentirsi infastidita da qualcuno nella struttura. Perché è fuggita? Solo pochi giorni prima era tranquilla».