Mentana e il dibattito su un certo tipo di inchiesta giornalistica
Serata molto interessante quella imbastita da Enrico Mentana per Bersaglio mobile (La7, mercoledì, ore 21.10). Si parlava della ormai famosa inchiesta di Fanpage, il sito napoletano che, utilizzando un ex boss della camorra, ha documentato con una telecamera nascosta il sistema di corruttela presente nella gestione dei rifiuti in Campania. In studio Claudio Velardi, il direttore di Fanpage Francesco Piccinini, Gherardo Colombo e il magistrato Franco Roberti.
Fino a che punto, quella di Fanpage, è un’inchiesta giornalistica, uno scoop? In Italia, la figura dell’agente provocatore (perché tale è l’ex camorrista), non scalfisce lo spirito della Costituzione?
In materia giuridica, ci atteniamo a quanto Caterina Malavenda ha scritto ieri sul Corriere, con la consueta sapienza: «Il mito della notizia, nonostante tutto e dell’inviolabilità della redazione, tempio laico di un sacerdote che non gode, però, di alcuna immunità… potrebbe indurre qualche giornalista a credere di essere legibus solutus, sottratto alle regole dei comuni mortali, siccome investito di un compito che, invece, se pur nobile ed indispensabile, non esonera certo dal rispetto della legge».
È probabile che in Campania, come altrove, esista un sistema corruttivo; quindi l’indagine, qualunque metodo essa usi, lo fa a fin di bene. È così? I media hanno una velocità diversa dall’iter processuale e la gogna mediatica arriva a sentenza ben prima dell’eventuale condanna penale. È un rischio che un Paese civile può correre? Ma la domanda che più mi sta a cuore è un’altra.
Da dove nasce questo tipo di giornalismo con tanto di agente infiltrato? Gli esempi nella tv italiana sono tanti, ma penso in particolare a quel tipo di supplenza (prima giornalistica, poi legale) messa in atto dalle Iene, il «tribunale morale» della tv italiana.