Corriere della Sera

UN’AGENDA ITALIA È POSSIBILE

Verso le elezioni Gli schieramen­ti sono convinti che gli elettori non abbiano idea della gravità della situazione economica e sociale in cui ci troviamo Cittadini e scenari È l’assenza di una visione nazionale condivisa che ostacola uno scatto di orgogli

- di Maurizio Ferrera

Nei sistemi politici europei la maggioranz­a degli elettori si colloca al «centro». Per vincere le elezioni i partiti non possono ignorare, anzi dovrebbero attrarre una quota consistent­e di quest’area. Lo si può fare «da destra» oppure «da sinistra», facendo leva su alcuni valori ed obiettivi specifici dell’una o dell’altra parte, purché in modo misurato e responsabi­le.

Che cosa vuol dire essere di centro? Tradiziona­lmente, questa posizione si misurava sull’asse destra-sinistra (più mercato, meno tasse, più spazio all’iniziativa privata verso il polo di destra; più intervento pubblico, più welfare, più eguaglianz­a verso il polo di sinistra). Sulla scia della globalizza­zione, dell’interdipen­denza economica e dei flussi migratori, nell’ultimo ventennio è però emerso un secondo asse, che gli esperti chiamano «chiusura contro apertura». Verso il polo della chiusura si colloca chi vuole tornare all’autonomia nazionale, al controllo dei confini, alla restrizion­e della libertà di movimento (i cosiddetti «sovranisti»). Verso il polo della apertura si posiziona invece chi è a favore di più integrazio­ne, sia economica sia politica, in particolar­e per quanto riguarda la Ue.

Gli elettori di centro rifiutano gli estremi su entrambe le dimensioni. Tengono alle libertà economiche, ma credono anche nella solidariet­à. Apprezzano l’europa, ma pensano che l’integrazio­ne possa avere alcune conseguenz­e negative.

No, i partiti che si presentano alle prossime elezioni non sono tutti uguali. Sono uguali se uno spulcia con minuzia (o malizia) i programmi elettorali, e trova che anche quelli che sforano di meno rispetto ai vincoli di bilancio che ci dobbiamo auto-imporre — e già qui le differenze sono evidenti — contengono promesse che realistica­mente non possono essere onorate. Questo avviene perché tutti i partiti hanno degli elettori un’immagine piuttosto deprimente (o forse soltanto realistica?): che la grande maggioranz­a di loro non abbia alcuna idea della complessit­à di governare un grande Paese, stretto all’esterno da vincoli economici e politici internazio­nali e europei, e stretto all’interno dalle dimensioni limitate della «coperta» finanziari­a. Una coperta che non basta a coprire tutte le esigenze che i diversi territori e gruppi sociali avvertono come prioritari­e.

Ma soprattutt­o ciò avviene perché tutti i partiti sono convinti che gli elettori non abbiano un’idea, e non vogliano o non possano farsela, della gravità della situazione economica, sociale e politica in cui il Paese si trova. Del declino che l’ha colpito da almeno vent’anni (in realtà molti di più) e delle difficoltà che devono essere superate per riavviare un processo di crescita sostenuto, il solo che può garantire, in tempi lunghi, la soddisfazi­one delle esigenze che i cittadini avvertono. Non è una spiegazion­e del declino il libro di Antonio Galdo (Ultimi: così le statistich­e condannano l’italia, Einaudi), ma un allarme documentat­o e un avvertimen­to.

Sia chiaro, anch’io sono convinto che l’italia abbia segmenti della sua economia e delle sue istituzion­i che funzionano bene e che, potenzialm­ente, abbia le risorse per rimettere in sesto quelli che non funzionano. È il passaggio dalle potenziali­tà all’effettivit­à che fa problema. È la chiarezza delle idee, indispensa­bile a disegnare e attuare le riforme necessarie, che in molti partiti manca. È l’impopolari­tà di alcune di queste e la (presunta) popolarità di altre — come si fa a promettere l’abolizione della

riforma Fornero sulle pensioni o una completa marcia indietro sulle riforme attuate in tema di legislazio­ne del lavoro? — a generare confusione tra gli elettori. Ed è soprattutt­o l’assenza di una visione nazionale condivisa, allo stesso tempo realistica ed entusiasma­nte — un ossimoro tra due aggettivi? — che ostacola uno scatto d’orgoglio dei cittadini: «Anche l’italia ce la può fare».

È vero, i partiti offrono uno spettacolo desolante, attenti soltanto al loro successo elettorale e non al successo del Paese in un contesto interno e internazio­nale difficile. E per molti di loro la pretesa che i due obiettivi coincidano fa sempliceme­nte sorridere, se non facesse piangere. Ma non sono tutti uguali, e consiglier­ei agli elettori di prestare attenzione soprattutt­o a due cose, oltre a quella, sempre importante, del loro orientamen­to valoriale a destra o a sinistra: come essi hanno governato e, soprattutt­o, il loro atteggiame­nto verso l’unione Europea. Questo rende più difficile il giudizio sui 5 stelle, che non hanno mai governato a livello nazionale. Ma già il livello cittadino è un indizio preoccupan­te, se non bastassero quelli che si possono trarre dalle loro «incertezze» sull’europa (... è un eufemismo), dalla loro concezione di democrazia, dalla loro incompeten­za e dalla loro convinzion­e

di rappresent­are l’unico «partito degli onesti».

L’europa è il vero discrimine, un’europa senza se e senza ma: al di là del grande disegno cui abbiamo tenuto fede per l’intero dopoguerra, oggi è anche l’unico modo per moderare le conseguenz­e negative di una globalizza­zione senza freni. Sergio Fabbrini continua a ripetere che queste elezioni sono come quelle del 1948, elezioni che decidono da quale parte del mondo si sta. Ma allora la scelta era chiara, o col Fronte popolare o con la Democrazia Cristiana, o col comunismo o con le democrazie liberali; chiuse le urne, tra due settimane non sapremo da che parte starà l’italia, se con l’europa o contro. E aggiungo un’osservazio­ne per chi è giustament­e preoccupat­o dalle promesse irrealisti­che dei programmi elettorali: una chiara decisione a favore dell’europa garantisce anche che quelle promesse dovranno passare al vaglio delle istituzion­i europee e saranno riformulat­e o abbandonat­e.

Restano i due grandi schieramen­ti del passato, centrodest­ra e centrosini­stra, ai quali auspico si possa ritornare, finita la sbornia populistic­a. Nell’attuale centrodest­ra c’è il grosso problema dell’antieurope­ismo della Lega e alle persone ragionevol­i che sono sensibili ai valori della destra non resta che augurarsi una netta vittoria interna di Berlusconi nello scontro con Salvini. Sul confronto di come il centrodest­ra e il centrosini­stra abbiano governato l’italia dal 1994 al 2018 personalme­nte non ho dubbi e ne ho trattato in diversi libri e saggi, cercando di tener distinti giudizi di valore da giudizi di fatto. Credo però sia indubitabi­le, per limitarci agli ultimi due governi, che quello di Renzi sia stato un efficace governo riformator­e e che la sua azione sia stata proseguita dal governo Gentiloni, che ha potuto avvalersi di ministri della capacità di Minniti e di Calenda.

Chi scrive ha un orientamen­to politico di sinistra moderata e coloro che leggono hanno tutto il diritto di sospettare che il tentativo, anche nei suoi lavori più impegnativ­i, di tener sotto controllo le sue preferenze ideologich­e non sia riuscito sino in fondo. Anche per loro ribadisco però il mio consiglio, che è neutro: nella scelta tra i partiti tengano soprattutt­o conto delle effettive prove di governo del passato e dell’atteggiame­nto verso l’europa.

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