UN’AGENDA ITALIA È POSSIBILE
Verso le elezioni Gli schieramenti sono convinti che gli elettori non abbiano idea della gravità della situazione economica e sociale in cui ci troviamo Cittadini e scenari È l’assenza di una visione nazionale condivisa che ostacola uno scatto di orgogli
Nei sistemi politici europei la maggioranza degli elettori si colloca al «centro». Per vincere le elezioni i partiti non possono ignorare, anzi dovrebbero attrarre una quota consistente di quest’area. Lo si può fare «da destra» oppure «da sinistra», facendo leva su alcuni valori ed obiettivi specifici dell’una o dell’altra parte, purché in modo misurato e responsabile.
Che cosa vuol dire essere di centro? Tradizionalmente, questa posizione si misurava sull’asse destra-sinistra (più mercato, meno tasse, più spazio all’iniziativa privata verso il polo di destra; più intervento pubblico, più welfare, più eguaglianza verso il polo di sinistra). Sulla scia della globalizzazione, dell’interdipendenza economica e dei flussi migratori, nell’ultimo ventennio è però emerso un secondo asse, che gli esperti chiamano «chiusura contro apertura». Verso il polo della chiusura si colloca chi vuole tornare all’autonomia nazionale, al controllo dei confini, alla restrizione della libertà di movimento (i cosiddetti «sovranisti»). Verso il polo della apertura si posiziona invece chi è a favore di più integrazione, sia economica sia politica, in particolare per quanto riguarda la Ue.
Gli elettori di centro rifiutano gli estremi su entrambe le dimensioni. Tengono alle libertà economiche, ma credono anche nella solidarietà. Apprezzano l’europa, ma pensano che l’integrazione possa avere alcune conseguenze negative.
No, i partiti che si presentano alle prossime elezioni non sono tutti uguali. Sono uguali se uno spulcia con minuzia (o malizia) i programmi elettorali, e trova che anche quelli che sforano di meno rispetto ai vincoli di bilancio che ci dobbiamo auto-imporre — e già qui le differenze sono evidenti — contengono promesse che realisticamente non possono essere onorate. Questo avviene perché tutti i partiti hanno degli elettori un’immagine piuttosto deprimente (o forse soltanto realistica?): che la grande maggioranza di loro non abbia alcuna idea della complessità di governare un grande Paese, stretto all’esterno da vincoli economici e politici internazionali e europei, e stretto all’interno dalle dimensioni limitate della «coperta» finanziaria. Una coperta che non basta a coprire tutte le esigenze che i diversi territori e gruppi sociali avvertono come prioritarie.
Ma soprattutto ciò avviene perché tutti i partiti sono convinti che gli elettori non abbiano un’idea, e non vogliano o non possano farsela, della gravità della situazione economica, sociale e politica in cui il Paese si trova. Del declino che l’ha colpito da almeno vent’anni (in realtà molti di più) e delle difficoltà che devono essere superate per riavviare un processo di crescita sostenuto, il solo che può garantire, in tempi lunghi, la soddisfazione delle esigenze che i cittadini avvertono. Non è una spiegazione del declino il libro di Antonio Galdo (Ultimi: così le statistiche condannano l’italia, Einaudi), ma un allarme documentato e un avvertimento.
Sia chiaro, anch’io sono convinto che l’italia abbia segmenti della sua economia e delle sue istituzioni che funzionano bene e che, potenzialmente, abbia le risorse per rimettere in sesto quelli che non funzionano. È il passaggio dalle potenzialità all’effettività che fa problema. È la chiarezza delle idee, indispensabile a disegnare e attuare le riforme necessarie, che in molti partiti manca. È l’impopolarità di alcune di queste e la (presunta) popolarità di altre — come si fa a promettere l’abolizione della
riforma Fornero sulle pensioni o una completa marcia indietro sulle riforme attuate in tema di legislazione del lavoro? — a generare confusione tra gli elettori. Ed è soprattutto l’assenza di una visione nazionale condivisa, allo stesso tempo realistica ed entusiasmante — un ossimoro tra due aggettivi? — che ostacola uno scatto d’orgoglio dei cittadini: «Anche l’italia ce la può fare».
È vero, i partiti offrono uno spettacolo desolante, attenti soltanto al loro successo elettorale e non al successo del Paese in un contesto interno e internazionale difficile. E per molti di loro la pretesa che i due obiettivi coincidano fa semplicemente sorridere, se non facesse piangere. Ma non sono tutti uguali, e consiglierei agli elettori di prestare attenzione soprattutto a due cose, oltre a quella, sempre importante, del loro orientamento valoriale a destra o a sinistra: come essi hanno governato e, soprattutto, il loro atteggiamento verso l’unione Europea. Questo rende più difficile il giudizio sui 5 stelle, che non hanno mai governato a livello nazionale. Ma già il livello cittadino è un indizio preoccupante, se non bastassero quelli che si possono trarre dalle loro «incertezze» sull’europa (... è un eufemismo), dalla loro concezione di democrazia, dalla loro incompetenza e dalla loro convinzione
di rappresentare l’unico «partito degli onesti».
L’europa è il vero discrimine, un’europa senza se e senza ma: al di là del grande disegno cui abbiamo tenuto fede per l’intero dopoguerra, oggi è anche l’unico modo per moderare le conseguenze negative di una globalizzazione senza freni. Sergio Fabbrini continua a ripetere che queste elezioni sono come quelle del 1948, elezioni che decidono da quale parte del mondo si sta. Ma allora la scelta era chiara, o col Fronte popolare o con la Democrazia Cristiana, o col comunismo o con le democrazie liberali; chiuse le urne, tra due settimane non sapremo da che parte starà l’italia, se con l’europa o contro. E aggiungo un’osservazione per chi è giustamente preoccupato dalle promesse irrealistiche dei programmi elettorali: una chiara decisione a favore dell’europa garantisce anche che quelle promesse dovranno passare al vaglio delle istituzioni europee e saranno riformulate o abbandonate.
Restano i due grandi schieramenti del passato, centrodestra e centrosinistra, ai quali auspico si possa ritornare, finita la sbornia populistica. Nell’attuale centrodestra c’è il grosso problema dell’antieuropeismo della Lega e alle persone ragionevoli che sono sensibili ai valori della destra non resta che augurarsi una netta vittoria interna di Berlusconi nello scontro con Salvini. Sul confronto di come il centrodestra e il centrosinistra abbiano governato l’italia dal 1994 al 2018 personalmente non ho dubbi e ne ho trattato in diversi libri e saggi, cercando di tener distinti giudizi di valore da giudizi di fatto. Credo però sia indubitabile, per limitarci agli ultimi due governi, che quello di Renzi sia stato un efficace governo riformatore e che la sua azione sia stata proseguita dal governo Gentiloni, che ha potuto avvalersi di ministri della capacità di Minniti e di Calenda.
Chi scrive ha un orientamento politico di sinistra moderata e coloro che leggono hanno tutto il diritto di sospettare che il tentativo, anche nei suoi lavori più impegnativi, di tener sotto controllo le sue preferenze ideologiche non sia riuscito sino in fondo. Anche per loro ribadisco però il mio consiglio, che è neutro: nella scelta tra i partiti tengano soprattutto conto delle effettive prove di governo del passato e dell’atteggiamento verso l’europa.