LA LETTURA
L’inquietudine di quella vacanza da adolescenti
Sul numero de «La Lettura» in edicola da domani pubblichiamo in anteprima alcune pagine del nuovo romanzo di Paolo Giordano, «Divorare il cielo», che sarà nelle librerie a partire dall’8 maggio.
Li vidi bagnarsi in piscina, di notte. Erano in tre ed erano molto giovani, poco più che bambini, come allora ero anch’io. A Speziale il mio sonno era interrotto di continuo da rumori nuovi: il fruscio dell’impianto d’irrigazione, i gatti selvatici che si azzuffavano nel prato, un uccello che produceva lo stesso suono all’infinito.
Verso il 1970, il pittore Ibrahim Kodra di anni ne dichiara una quarantina, senza entrare in dettagli («è tutto ciò che ci rimane del regno d’albania», dice Leonardo Borgese). Solo dopo l’istituzione del codice fiscale (1973), una «spia» rivela che, in realtà, al conto ne mancano 15. E allora? «Beh, fa parte della leggenda», dice qualcuno. Una leggenda vivente che andava avanti da un trentennio.
Kodra era nato nel villaggio di Likmetaj (Durazzo), nel 1918: quindi, un secolo addietro. Una buona occasione per ricordarlo. Con tristezza, ma anche con tanto affetto, perché Ibrahim oltre che un eccellente artista, era un uomo buono e generoso. Angelico, talvolta. Possono testimoniarlo sia il connazionale Visar Zhiti — che, dopo 7 anni di prigionia per avere scritto dei versi contro il dittatore Enver Hoxha, viene per qualche tempo a Milano, portato da Carlo Rognoni — sia il notaio Lucio Mottola, che, assieme alla moglie Enza, ha salvato l’artista da vari tentativi di truffa, soprattutto negli ultimi anni di vita (è morto a Milano a 88 anni).
Infanzia difficile, quella di Kodra. Di famiglia musulmana, figlio di un capitano di Marina, a 3 anni perde la madre e va a vivere da una zia, dove pasticcia coi colori. A 8 scappa di casa e raggiunge Durazzo. Un suo disegno, esposto nella vetrina di un negozio, viene notato da un dignitario della corte di re Zog I d’albania che porta il bambino a palazzo per presentarlo alla regina («giunto al suo cospetto, avrei dovuto baciarle la mano e fare tre passi indietro — raccontava Ibrahim — ma anche le altre donne mi sembrarono importanti e cominciai a baciare la mano a tutte»). A Tirana, Kodra studia assieme ai principini, fa sport e diventa campione nazionale di lancio del disco.
Nel ‘38, con una borsa di studio, viene a Milano (dove si fermerà per sempre). Accademia di Brera. I suoi maestri? Carlo Carrà, Aldo Carpi e Achille Funi. Dopo la maturità artistica, nel ‘43, assieme a Cassinari, Morlotti, Vedova, Manzù e Marini espone alla galleria Cairola. Il catalogo è firmato da Giovanni Testorì.
Quindi fa parte dei gruppi «Oltre Guernica» (1945), «Linea» (1947) e così via. Nel 1946, a Roma incontra Picasso e Paul Éluard. Quest’ultimo, su «l’unità», lo definisce «il primitivo di una nuova civiltà»: che l’artista inventa giorno per giorno. E se Kodra deve fare i conti con Astrattismo, Cubismo e con i movimenti che guardano alla Resistenza, ha sempre negli occhi il fasto della corte di re Zog e del folklore albanese. Così adatta i suoi idoli, i personaggi schematizzati, i totem alle nuove situazioni. «Ritornano — osserva Franco Russoli, nel ‘65 — i segni di una tradizione che è natura; un Oriente vicino, mediterraneo, che trova figura anche nelle sigle e nei toni attuali della cultura artistica europea. La materia pittorica di Kodra è variata e sensibile alla luce che definisce non soltanto forme allusive di Paesi e personaggi, ma trascorrenti riflessi, vibranti apparizioni liriche di fantasmi della memoria».
Sarebbe troppo lungo qui ripercorrere tutta l’avventura artistica del pittore naturalizzato italiano. Soprattutto perché essa, molto spesso, si confonde con gli aneddoti — che sarebbero certamente piaciuti al Moravia dei Racconti romani — di un certo periodo della Milano Anni Quaranta-sessanta, di cui Kodra, come ha scritto Carlo Bo, era diventato «quasi un simbolo generazionale».
Qualche esempio? Milano, periodo bellico; una notte durante il coprifuoco, Ibrahim viene fermato da una pattuglia. «Seguici al comando», gli intima uno. «Non posso, devo andare da una ragazza e sono già in ritardo», risponde il pittore allontanandosi. Increduli, i militari restano a guardarlo con i mitra in mano. Investito da una camionetta degli Alleati, Kodra va in giro per circa tre mesi con un braccio ingessato e invita gli amici, artisti squattrinati, in trattoria: conto aperto in attesa del risarcimento. E ancora: alle cattolicissime sorelle Pirovini, titolari di un’altra trattoria (in via Fiori Chiari, sempre a Milano), promette — lui musulmano — di convertirsi pur di avere condonato il lungo debito per i pasti consumati. Invitato a Roma, a piazza Venezia, a parlare a nome degli studenti connazionali, non sapendo che cosa dire e confidando sul fatto che nessuno conosce l’albanese, comincia a contare (sino al 300) nella sua lingua, intercalando ai numeri parole come «Roma», «Duce», «Patria». Seguono le ovazioni della folla, mentre i suoi compagni sono sempre più pallidi. Alla fine, un gerarca gli stringe la mano: «Camerata, hai fatto un discorso storico, di grande importanza per i nostri due popoli».
Rideva, rideva di cuore Ibrahim, nel ricordare l’episodio, a tavola, in una latteria di Brera. Stavolta il conto sarebbe stato pagato.