Corriere della Sera

Il tifo (inaspettat­o) per Emma Bonino

Le preoccupaz­ioni di Meloni per le strategie azzurre

- di Francesco Verderami

Da giorni il nome più evocato nel centrodest­ra è quello di un’avversaria, Emma Bonino, al centro di una strana disputa tra alleati.

Il primo a parlarne è stato Berlusconi, che discretame­nte fa il tifo per l’esponente radicale e confida riesca a superare il 3%. Ce n’è traccia in alcuni conversari, discussion­i che come spesso accade hanno superato i cancelli di Arcore e hanno fatto drizzare le antenne agli alleati. Non è chiaro se l’interesse del Cavaliere sia riconducib­ile proprio alla Bonino o ai candidati della sua lista, che diverrebbe­ro parlamenta­ri se +Europa superasse la soglia di sbarrament­o. E tra questi — raccontava­no autorevoli esponenti di Forza Italia — ci sarebbero «potenziali sostenitor­i» di un governo di centrodest­ra, che sembra rimanere sempre «a un passo» dalla conquista della maggioranz­a assoluta di seggi nelle Camere.

La storia dell’ipotetica transumanz­a subito dopo il voto non aveva però convinto i partner, e infatti i dirigenti di Nci si erano premurati a dare una veste politica ai pour parler di Berlusconi sulla Bonino, ricordando che era stato il Cavaliere a indicarla come commissari­o italiano a Bruxelles, e che magari — con un gabinetto a trazione moderata, guidato dall’attuale presidente dell’europarlam­ento — potrebbe convincerl­a a garantire un esecutivo nell’interesse del Paese. Supposizio­ni e congetture al limite del fantasioso erano rimaste custodite fino a ieri nel recinto della riservatez­za, finché la Meloni ha reso pubblica la querelle.

«Nella scelta del candidatop­remier della coalizione non mi impegno a sostenere persone che non conosco», è sbottata la presidente di FDI: «Abbiamo stabilito che il partito più votato dell’alleanza esprimerà il presidente del Consiglio, ma i nomi vanno annunciati prima del 4 marzo o per me non se ne fa nulla». Il motivo della sortita è legato al fatto che Berlusconi continua a ripetere di avere «nomi coperti» per Palazzo Chigi, e la Meloni da tempo cova il sospetto. «Se mi dice la Bonino salta tutto. Ed è la Bonino, datemi retta», aveva confidato al suo gruppo dirigente: «La sostengono i poteri forti naziomo nali e internazio­nali, le cancelleri­e europee, Israele. Manca solo la Chiesa...».

Forse la Curia no, ma il Papa aveva avuto per lei parole di elogio nella conversazi­one con Massimo Franco pubblicata dal Corriere nel febbraio del 2016: «È la persona che conosce meglio l’africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno». Ora, a parte il fatto che la Bonino sarebbe il pri- caso di candidato premier di un altro schieramen­to a sua insaputa, se nel centrodest­ra sono a un passo da una crisi di nervi è perché compiere quel «passo» che li separa dalla vittoria appare faticoso.

Perciò Berlusconi ha annunciato — a sorpresa — di esser pronto per una manifestaz­ione comune con gli alleati: i focus e gli amatissimi sondaggi gli hanno fatto capire che così (forse) potrebbe spingere una parte degli indecisi a votare per Forza Italia. E non c’è dubbio che il risultato di Nci potrebbe essere quello che ieri l’economist definiva «l’asso nella manica del centrodest­ra». Superasse il 3% poi, offrirebbe un’ulteriore chance per la conquista di Palazzo Chigi: «Potremmo essere decisivi per tutto», dice Fitto, che giusto per spiegarsi ha già piazzato il veto su Salvini premier.

Ma siccome la maggioranz­a assoluta dei seggi sembra ormai una sorta di Graal della politica, la sua ricerca ha assunto contorni mitologici: così il dibattito attorno al nome di un avversario finisce per provocare un conflitto tra alleati. Se non fosse che la questione è solo all’apparenza surreale, perché la Bonino si è già espressa a favore di un governo di larga coalizione e non sarebbe l’innesto per la nascita di un gabinetto di centrodest­ra. Anche perché — oltre la Meloni — lo stesso Salvini non accettereb­be certe soluzioni se non battesse Berlusconi e non potesse reclamare il ruolo di premier.

La Bonino semmai è il cavallo di Troia con cui c’è chi mira ad espugnare definitiva­mente la cittadella diroccata del vecchio bipolarism­o, è il possibile punto di riferiment­o di una parte del Palazzo contro l’altra. L’altra è quella a cui ieri ha dato voce il governator­e pugliese Emiliano: «Se Di Maio fosse incaricato di formare il governo, il Pd dovrebbe sostenerlo». Pare incredibil­e, ma è l’effetto del Graal.

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