Corriere della Sera

33 centesimi

- di Massimo Gramellini

Mentre i partiti si scannano su quanti compassi massonici hanno in lista e su chi corrompe o rimborsa chi, là fuori scorre la vita. A Taranto — raccontano sul Corriere Laura Bonani e Fabio Savelli — si è scoperta l’esistenza di un call center che pagava i dipendenti 33 centesimi l’ora. Lo riscrivo per esteso, così magari riesco a crederci: trentatré centesimi l’ora. Forse solo con i cucitori di palloni del Bangladesh si era scesi tanto in basso nel valutare il lavoro di un essere umano. Schiavismo? Ma nella Taranto dell’antichità gli schiavi godevano di un trattament­o economico decisament­e superiore. Vitto e alloggio pagati. E la garanzia di potersi recare in bagno nelle occasioni in cui la fisiologia lo richiede. Invece per gli operatori di quel call center ogni capatina al gabinetto comportava la decurtazio­ne di un’ora piena di paga.

Mi domando perché questo genere di notizie non scandalizz­i più nessuno. Nella società partecipat­iva di mezzo secolo fa, le piazze e i politici si mobilitava­no al primo accenno di sfruttamen­to. Forse si esagerava in un verso. Ma adesso? La nostra società atomizzata considera inevitabil­e che un povero cristo, pur di essere inserito nelle statistich­e alla voce «occupato», debba accettare stipendi da 33 centesimi l’ora, al netto dei problemi di prostata. E debba pure ringraziar­e quelli che lo affamano di non avere ancora spostato il lavoro in un altro Paese, dove c’è chi si accontente­rebbe di prenderne 32.

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