La «passeggiata» di Gentiloni, Merkel e Macron
Una «passeggiata» insieme a Bruxelles tra il premier Paolo Gentiloni, il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a suggellare l’intesa raggiunta ieri alla conferenza del G5 Sahel. «Un momento molto importante per confermare l’impegno dell’europa in Africa» — ha detto Gentiloni che con Merkel e Macron ha sottoscritto una dichiarazione comune. Il premier ha sottolineato come il Sahel sia «per l’infiltrazione terroristica, il cambiamento climatico e i flussi migratori» una zona «particolarmente fragile e importante». Al di là dell’argomento specifico all’ordine del giorno ieri a Bruxelles, la breve camminata dei tre leader europei ha assunto anche un valore simbolico a pochi giorni dalle elezioni politiche italiane. annessa un’eventuale scissione, sembra messa nel conto. Il M5S «deve» governare in qualche modo. Sa che una stagione è finita e cerca di raccoglierne i frutti, acerbi o maturi che siano. Teme la «tenaglia sporca», la chiama così, di un patto tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi che lo taglierebbe fuori. E ha altrettanto paura di una vittoria del centrodestra.
Se però questi due esiti non si materializzano, i Cinque Stelle sono pronti a trattare con qualunque interlocutore o quasi: basta che il garante sia Mattarella, al quale non a caso Di Maio insiste di voler comunicare in anticipo la propria squadra. Accreditare, come fa da tempo, un asse col capo dello Stato è come minimo esagerato. Semplicemente, il Quirinale non può che apprezzare l’atto di gentilezza istituzionale; e registrare con una punta di cauto sollievo lo scivolamento dei Cinque Stelle in versione Di Maio verso una strategia meno antisistema. Ma si vuole evitare qualunque interpretazione strumentale: quasi ci fosse un gioco di sponda. È chiaro che il dopovoto potrebbe imporre un mutamento degli equilibri di questi anni. Includere una forza che sembra non aspettare altro, sarebbe più facile.
D’altronde, per paradosso i casi di candidati che si scoprono potenziali «impresentabili» nelle liste grilline possono essere visti in due modi. Il primo suggerisce un’incapacità strutturale a selezionare la classe dirigente: una conseguenza non solo dell’inesperienza, ma delle falle di un partito-internet permeabile alle infiltrazioni di interessi e di personaggi a dir poco controversi. Ma la seconda considerazione è che, in fondo, quelle candidature imbarazzanti potrebbero essere accolte come un anticipo dell’omologazione alle altre forze politiche: purtroppo in negativo. E dunque contribuiscono a spingere i Cinque Stelle nell’area del sistema, ricalibrando la loro sbandierata «diversità» morale.