Inghilterra e Italia Il derby dello stile
Versace è un inno al rock britannico, Tod’s il tripudio dell’eccellenza artigianale Etro scrive un nuovo capitolo con il suo folk-decò. De Vincenzo multicolor
Epoi non dicano che la moda a Milano langue. Sarà una settimana corta, ma la concentrazione di sfilate interessanti cresce di giorno in giorno: altro che la fashion week «diluita» di New York. Ieri, per esempio. La sorpresa della nuova donna Tod’s. Mediterranea e internazionale: essenza super sofisticata di geni italiani e curiosità verso tutto quello che la circonda, cioè l’universo mondo che lei esplora e fa suo filtrandolo con gusto e classe innata. Per i colori solari (tutti i caldi invernali, dai bruciati allo zafferano) e per i materiali pregiati. Il lavoro è tanto e serio. Un’appropriazione-elaborazione dei codici con la consapevolezza che il valore aggiunto sta proprio lì, nell’artigianalità: suede e montoni, vitelli e croste, vernici e cuoio. Nessuna invenzione stilistica, è vero, ma uno stile di vita: non è forse giusto vestire anche quello? Dal biker ai blouson, ai caban, ai parka: capi spalla grintosi percorsi da zip e accessoriata da tasche. Il completo ha i pantaloni maschili o la gonna diritta e la camicia rimborsata. I nuovi stivali hanno la para alta e il mocassino gommino una nappa charms le stesse richiamata nella Thea Bag, nuova tracolla di riferimento. Le cariatidi dall’alto le guardano, loro le regine del rock british del clan di Versace non si intimoriscono certo, se mai le sfidano, come fanno con chiunque passi accanto, perché loro sanno di piacere. Sfacciate, aristocratiche, esuberanti ognuna con la propria personalità: la ragazza con il kilt corto, la donna fatale in nero drappeggiato, la misteriosa in rosso con il capo coperto, la frivola in corto tutto una frangia di perline, la sfrontata che sfida il perbenismo drappeggiandosi addosso una sciarpa da tifosa. «La mia è una famiglia di donne che non hanno bisogno di sentirsi dire come sono, perché lo sanno» racconta Donatella entusiasta per l’energia della maison.
Come quando da ragazzino la televisione andava in tilt e allora lui, Marco De Vincenzo, cercava di passare il tempo in altro modo scoprendo un universo di cose: l’arte, la politica, i diritti per i gay e altro ancora. Il racconto è emozionante quanto la collezione dove quell’occhio di bambino assetato di sapere si ritrova nelle stampe pixelate di opere di Antonella da Messina o nel lo- go storico di «Fine Trasmissione», nelle sfumature rainbow di certi abiti glitterati, nel nastro rosso impunturato sulle piccole borsette.
Veronica Etro ha ritagliato e incollato per settimane carte colorate che ha poi trasformate in stampe che scriveranno un nuovo capitolo della storia della maison: il folk-deco. Basta ricami o paisley, avanti con citazioni infinite (dal decò, al tribale, ai balletti russi), per arrivare a questo forte segno d’identità con personalità, nell’anno dei Cinquanta, dunque nel rispetto delle radici: cappotti-vestaglia, le mantelle navajo, le lunghe gonne, i pantaloni ampi, i completi di maglia contaminandoli
Antonio Marras Completi sartoriali ma sempre ibridati. Felpe e t-shirt attualizzano le vesti più solenni
sempre con quel tocco folk (ora gli inserti all’uncinetto, ora le frange, ora i patchwork) e quelle tinte calde (tabacco, salvia, terra, sole) che sono una piacevolezza alla sola vista. Tuffo negli archivi di Paul Surridge per Roberto Cavalli che questa volta cerca l’ispirazione nelle radici più profonde. Esplora la notte e il glamour, dopo aver preferito la scorsa stagione il giorno e lo sportswear e si espone a un rischioso confronto con il fondatore. Il risultato è un po’ confuso. I pezzi però ci sono: i piccoli boleri-divisa, gli abiti scivolati a stampa lince o quelli oblò di pizzo, i jeans ricamati, le gonne di coccodrillo, i trench di pitone. Più convincente l’uomo, all’esordio, con i cappotti chiodati, i blouson imbottiti e camouflage , i cinque tasche di pelle.
Wow mister Marras! Degno discendente di quel John Marras che partì dalla Francia per far fortuna in America con le sue miniature e poi finì alla corte del sultano di Costantinopoli. E non importa se in Sardegna ci finì con la fantasia e lì incontrò il suo amore. Grazie lo stesso, per il sogno e la realtà di uno show eccitante e romantico. Immaginato a bordo di un veliero popolato di donne e uomini in stile very Marras, ma meno drammatico e più asciutto: abiti di pizzo e ricami, blouson patchwork, pastrani intarsiati, completi sartoriali ma sempre ibridati cosi come le felpe e le t-shirt che attualizzano anche le vesti più solenni. Natural beauty da Blumarine. In colori e atteggiamento. Anna Molinari sceglie che siano le donne, istintivamente, ad indossare i propri abiti così che ogni uscita è una piccola e delicata storia di personalità e di femminilità. E solo gonne, senza censure: «Perché dobbiamo essere li-
bere di vestire quello che vogliamo». E lo show è un inno a questa consapevolezza che sa anche di frivolezze ma è giusto così. Leggerezze di ricami e lavorazioni in sete e chiffon e poi sopra cappotti e caban e blouson di tessuti o montoni sempre sottolineati da colli importanti. Sportmax dalle piste innevate di Gstaad alle strade asfaltate di New York: piumini over e colorati, coprispalla, gilet e cappucci su giacche e cappotti di lane taglio vivo; pantaloni sottili da divina degli sci o scampanati da happy hour nel village. Abiti-lupetto tutti-curve in maglia a inserti geometrici o in tessuti tecnici e/o raso. Gli anni Ottanta irrompono ancora, sta accadendo spesso qui a Milano, sulla passerella di Krizia: spalle larghe e fianchi e caviglie strette. Un lavoro didascalico aggiornato nei materiali che permettono di agugliare maglie con tessuti o floccare pizzi o accoppiare l’anguilla con tele tecniche. Tute e tailleur, cappotti maschili e blouson e tuniche drappeggiate da bracciali a maglia Rolex.