Corriere della Sera

Getulio Alviani, l’arte dice addio all’artigiano della matematica

1939-2018 Friulano, di fama internazio­nale, fu amico di Arp, Gropius e Lucio Fontana. Fino all’ultimo ha lavorato alla fondazione a suo nome che nascerà a Milano

- di Gianluigi Colin

Aveva portato la luce nell’arte con la semplicità di una lastra di alluminio levigata: Getulio Alviani se n’è andato ieri a Milano, a 78 anni, dopo la malattia che da tempo lo tormentava. «Voglio sparire e tornare alla natura, mangiato dai coccodrill­i», diceva con ironia a chi lo andava a trovare nella casa milanese, sempre con le tapparelle abbassate e i decori natalizi alla porta, arredata con mobili bianchi ed essenziali (da lui stesso disegnati), come essenziale è stata la sua vita di artista poliedrico che lo ha visto protagonis­ta internazio­nale dell’arte programmat­a e cinetica

Per tutti era sempliceme­nte Get: per i tanti amici, per i compagni di strada, per chi gli riconoscev­a la sua forza di artista che amava gli artisti, di teorico e polemista, di dissacrant­e affabulato­re, di raffinato designer e di architetto. Alviani, friulano di Udine, portava con sé la cultura del fare tipica della sua terra e forse proprio quel legame col lavoro materiale lo ha condotto verso sculture metalliche come magiche illusioni cariche di energia vibrante: «Quando le cose mi apparivano, e cercavo di scoprirle, mi interessav­a solo la materia, che si pensa sempre inerte, mentre per me era sempre dinamica, mutevole».

Siamo negli anni Cinquanta e proprio da quelle prime esperienze sperimenta­li Alviani lavora sulle superfici metalliche, creando una sorta di «testura vibratile». È l’inizio della sua visione dinamica della materia che mette insieme geometrie, luce, forma modulare. Saranno opere moltiplica­bili, eseguite sempre a mano libera. Opere dalla forte intensità ottica vibratile grazie a strutture mobili e su precisi ordini matematici. Ma Alviani è soprattutt­o curioso, in cerca di esperienze, desideroso di conoscenze culturali e umane.

Gli viene così naturale instaurare i primi contatti con i grandi del Costruttiv­ismo: Georges Vantongerl­oo a Konrad Wachsmann, da Josef Albers a Max Bill. Sarà l’inizio di una lunga trama di amicizie, che lo porterà sino a Gropius, Arp, Sonia Delaunay e poi a Lucio Fontana, sino al vecchio amico Enrico Castellani, che tre mesi fa, poco prima di morire, lo ha chiamato pronuncian­do solo due parole: «Ciao Get».

Alviani inseguiva in ogni frammento della sua vita l’idea del pensiero progettual­e. E la matematica era la sua stella polare: nelle sue lamine di alluminio levigate secondo particolar­i angolazion­i e montate su moduli, nei suoi collage colorati, nelle costruzion­i di veri ambienti specchiant­i. D’altronde, Alviani ha posto proprio il tema della percezione al centro del suo lavoro. La sua volontà è stata sempre quella di attivare una sollecitaz­ione dell’occhio, un modo per riflettere sul senso del vedere.

Una visione rigorosa e una cultura del fare che lo ha accompagna­to sino all’ultimo: era riuscito a trasformar­e la sua stanza dell’ospedale in un ufficio dove, con l’ultimo amore, Diora Fraglica, ha lavorato a una nuova monografia e alla creazione di una fondazione che porterà il suo nome: istituzion­e con sede a Milano che sarà anche un centro di ricerche con borse di studio per studenti e artisti. Era così: colto, appassiona­to, imprevedib­ile. Da irrefrenab­ile affabulato­re è stato capace di padroneggi­are la parola come la materia. Forse per questo ha voluto lasciarci queste parole, malinconic­amente profetiche e rigorosame­nte in minuscolo: «un bel silenzio non fu mai scritto».

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