Corriere della Sera

Freno dei leader alle larghe intese per il governo

Di Maio: contratto con i partiti dopo le elezioni

- Breda, Buzzi, Galluzzo, Guerzoni Martirano, Meli, Rebotti, Trocino

I leader sono contrari a ipotesi di un governo di larghe intese dopo il voto di domenica. Asse tra Gentiloni e Veltroni. E Berlusconi: referendum per l’elezione diretta del capo dello Stato. Mentre Luigi Di Maio: un contratto con i partiti dopo il voto.

Con il freddo che fa, l’ultima domenica preelettor­ale si consuma in gran parte nei teatri e negli studi tv. E il tema che domina nelle dichiarazi­oni leader è quello di un possibile governo delle larghe intese in caso di impasse dopo il voto che, a parole, ora nessuno auspica. Nel Pd, sul rifiuto di tale soluzione, fa un mezzo passo avanti Paolo Gentiloni: «Mai larghe intese con i populisti e gli estremisti». Mentre Walter Veltroni e Dario Franceschi­ni si spingono ben oltre. E in serata, da Fabio Fazio su Rai1, Matteo Renzi spiega: «Ha ragione Veltroni non si possono fare accordi con un centro destra dominato da Salvini che, a Firenze, candida contro di me il professor Bagnai

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Ha ragione Veltroni: no ad accordi con un centrodest­ra dominato da Salvini, che a Firenze candida contro di me Bagnai che vuole abolire l’euro. E niente accordi con il M5S

che vuole abolire l’euro». Certo, aggiunge Renzi, «non faremo accordi con il M5S».

Mentre Silvio Berlusconi la prende da un altro verso ma, di fatto, anche lui per ora cancella l’ipotesi della grande coalizione: «Con questo sistema, la maggioranz­a ce l’ha chi ottiene il 40%. Così a quelli del Pd e del M5s, che hanno rispettiva­mente il 21% e il 27%, dico che chi ama l’italia vota Forza Italia...». E anche Luigi Di Maio conferma il veto alle larghe intese.

Nel Pd è Veltroni, che parla al teatro Eliseo a Roma insieme a Gentiloni, il più tranciante: «Se non ci sarà una maggioranz­a chiara servirà una nuova legge elettorale con un premio di maggioranz­a e per poi tornare al voto». E il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschi­ni, fa anche il processo all’accordo con Forza Italia scattato dopo la «non vittoria del Pd» del 2013: «È un’esperienza che ho già fatto nei 6 mesi del governo Letta. Non c’era niente dell’esperienza tedesca. Non funziona». Ma Pier Luigi Bersani (Liberi e Uguali) non crede ai suoi ex compagni: «Per il Renzusconi sono parecchio avanti con i lavori ma non so se avranno i numeri. Però basta guardare le candidatur­e del Pd, che ha imbarcato in Sicilia tutti gli amici di Cuffaro e di Lombardo, in Lombardia il braccio destro di Formigoni, in Emilia Casini e Lorenzin».

Con l’ultima domenica elettorale arrivano anche gli impegni «last minute» dei leader. Berlusconi, che sfora i tempi della par condicio nel salotto di Barbara D’urso di Canale 5 («Qui la multa la pago io...»), propone tre referendum per smuovere le acque: sull’«elezione diretta del presidente della Repubblica, sull’introduzio­ne del vincolo di mandato per i parlamenta­ri e sul divieto per le procure di ricorrere in appello dopo un’assoluzion­e in primo grado». E Gentiloni promette «aiuti fiscali ai pensionati che hanno bisogno una badante». Il ministro dell’interno Marco Minniti (intervista­to da Maria Latella su Skytg24) ricorda di aver «garantito la massima attenzione» sulle attività delle organizzaz­ioni neofascist­e di cui l’associazio­ne nazionale partigiani chiede lo scioglimen­to.

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