L’ex leader pd acclamato: bisogna tornare alle origini Io segretario? Non esiste
«Trasformismo ributtante, no alla marmellata politica»
ROMA Quando scende dal palco, dopo aver ritrovato gli accenti del Lingotto di un decennio fa, un Walter Veltroni «molto angosciato» per lo stato d’animo del Paese abbraccia Paolo Gentiloni, dà una carezza a Marianna Madia e si imbatte nel giornalista Corrado Augias: «Mica penserai di cavartela con un bel discorso e di rimetterti a fare film? Noi ti vogliamo segretario del Pd». Veltroni sorride e alza entrambe le mani: «No, no... Non ci penso proprio». Eppure anche di questo si parla tra i velluti rossi del Teatro Eliseo, dove la Roma democrat è accorsa ad ascoltare il tandem Gentiloni-veltroni. Il primo leader è tornato e la gente che scatta in piedi ad applaudirlo, dopo 18 pagine dense tra passato e futuro, non vuole perderlo di nuovo. Lo dicono le ovazioni, le emozioni ritrovate, le facce di una stagione tramontata eppure, nelle parole di Veltroni, ancora viva. In prima fila siedono Zanda, Finocchiaro, Melandri, in platea spuntano Verini, Morassut, Bonaccorsi. Tanto veltronismo, zero renzismo. E quando l’ex sindaco di Roma incappa in un lapsus freudiano chiamando Pci il Pd, sono applausi e risate insieme.
Per quanto sia attento a non provocare strappi, nell’attingere al progetto originario Veltroni marca la distanza dal partito di Renzi. Allergico com’è a «pasticci e alleanze spurie» respinge ogni ipotesi di larghe intese e rispolvera il leitmotiv della sua campagna nel 2008: «Berlusconi? Il principale esponente dello schieramento a noi avverso». Dialogo con tutti, ma solo sulle regole del gioco. Niente «marmellata» politica, il «ributtante
d Per il Renzusconi sono avanti con i lavori ma non so se avranno i numeri. Però basta guardare le candidature del Pd: in Sicilia tutti gli amici di Cuffaro e Lombardo, in Emilia Casini e Lorenzin
L’accordo con Forza Italia? Una esperienza che ho già fatto nei sei mesi del governo Letta, dopo la non vittoria del Pd nel 2013. Non c’era niente della esperienza tedesca: non funziona
trasformismo» di questa legislatura deve finire. E guai se la destra ingannasse gli elettori accogliendo «espulsi, ammoniti e diffidati del M5S». Se dalle urne non uscirà una maggioranza chiara, si faccia «una legge elettorale con premio di maggioranza» che consenta coalizioni coese e poi si torni a votare. E qui il fondatore del Pd cita due volte Renzi, ricordando l’impegno assunto dal segretario: «La notte delle elezioni si deve sapere chi governa». Impegno che il Rosatellum ha disatteso. E ancora. Se al Nazareno si ragiona di un partito alla Macron, Veltroni riporta le lancette ai tempi d’oro del Pd, un partito che affondi le sue radici nel terreno dell’ulivo e che sia «punto di approdo, non di passaggio».
Dopo il sostegno di Prodi e Napolitano, l’evento doveva ufficializzare l’endorsement di Veltroni per l’«amico Paolo». Ma «Walter», sistemando i fogli sul leggio con Gentiloni accanto, sorprende i militanti: «Paolo ne ha ricevuti molti, autorevoli e sinceri e del mio endorsement penso non abbia bisogno, lo consideri naturale. Se sono qui oggi, in questo momento politico, è per parlarvi di passioni, paure, speranze». Le grida e le volgarità di questa campagna lo lasciano «allibito» e una delle sue paure più grandi è un boom della Lega che vada oltre i pronostici, anche al Sud: «La sfida è tra società aperta e chi vuole costruire muri, fondati su odio e paura». Dove la destra soffia sul fuoco con «fiabe gotiche», «cinismo» e «inganni», la sinistra deve riportare speranza. Tra i disoccupati e nelle periferie, ecco dove «il Pd che avevamo immaginato» deve tornare per ritrovare il suo popolo. L’ultimo consiglio è ancora per Renzi, se vuole riaccendere emozioni e speranze che sconfiggano la paura: «È giusto dire quello che si è fatto e averne orgoglio, ma di più lo è dire quello che si farà, qualcosa di più di un elenco di provvedimenti».