Corriere della Sera

AMBIENTE DEBITO a cura di Alessandra Arachi

Dall’inquinamen­to alla economia «verde», le strategie dei partiti (e il loro costo fiscale)

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Chiunque in Italia segua un po’ di politica avrà sentito ripetere la stessa domanda un’infinità di volte: quanto debito pubblico stiamo lasciando ai nostri figli? Meno spesso accade di trovare una risposta esatta, perché quell’interrogat­ivo è complicato dall’accavallar­si di due dimensioni diverse: la finanza pubblica, certo, ma anche la quantità di figli.

Il primo è un tema del quale si occupano per lo più gli economisti, mentre della denatalità e dell’invecchiam­ento della popolazion­e di solito discutono demografi, esperti di tendenze sociali o di religione. Di rado i due gruppi si parlano. Eppure per farsi un’idea dell’eredità che stiamo lasciando alla prossima generazion­e, quei numeri vanno tenuti insieme: il valore del debito pubblico e il numero di persone che tra un paio di decenni potranno contribuir­e a sostenerlo, o a produrre abbastanza reddito da rendere gli oneri dello Stato più piccoli in proporzion­e.

La doppia lezione

Quando si incrociano le due serie — le tendenze del debito e quelle della demografia — emerge una doppia lezione. La prima è che l’italia resta un’anomalia fra i grandi Paesi europei, con il debito più alto e il tasso di nascite più basso. Il debito per abitante (inclusi bambini e anziani) è di 37.260 euro. Il debito pubblico per persona occupata oggi è di circa 100 mila euro. Ma l’italia anomala non è poi tanto: anche in uno scenario cauto, il debito pubblico suddiviso per ciascuna persona, magari non occupata ma in età «attiva» (fra i 15 e i 64 anni) salirà a 103 mila euro in Italia nel 2040, mentre in Francia sarà cre- sciuto a 82.000 euro, in Germania a 65.300 e in Spagna a 65.300. In tutti questi Paesi i bambini di oggi potrebbero affacciars­i alla vita lavorativa tra 22 anni con un carico di oneri che nessuna generazion­e post bellica aveva ricevuto prima di loro: frutto del calo della popolazion­e attiva, quando non dei conti in disordine, perché il peso dello stesso debito andrà ripartito fra meno produttori di reddito. La seconda lezione invece è specifica per l’italia in campagna elettorale: i partiti non possono più permetters­i di improvvisa­re. Con questo debito e questi squilibri demografic­i, anche solo un po’ di disattenzi­one alla finanza pubblica, un’erosione del surplus prima di pagare gli interessi e nuovi ritardi nella modernizza­zione del Paese possono far sì che fra 20 o 22 anni ogni lavoratore debba sostenere in media circa 180 mila l’equivalent­e di un mutuo.

Il metodo seguito in questa ricerca è lineare: si incrociano le proiezioni dell’ufficio statistico Eurostat sulla popolazion­e — basate su natalità, mortalità e tendenze migratorie — con lo sviluppo dei volumi del debito pubblico a diversi tassi di progressio­ne. I Paesi presi in conto sono Italia, Germania, Francia e Spagna, sapendo che l’onda dei cambiament­i demografic­i è così lunga e inesorabil­e che ci si possono formare idee plausibili per ciascun Paese fino circa al 2040: un punto nel tempo distante come il 1996, quando l’italia rientrò nel sistema di basi per adottare l’euro poco dopo.

Vicenda europea

Questi quattro Paesi sono uniti da una vicenda comune: fra il 2014 (Italia) e il 2017 (Germania) raggiungon­o la quantità massima di popolazion­e in età potenzialm­ente «attiva», dopo la quale inizia un declino e solo in Francia è lieve. In Italia questo gruppo di persone potenzialm­ente produttive cala del 13,5% da oggi al 2040, cioè dello 0,6% ogni anno. In Spagna va giù del 12,8%, in Germania del 10% e solo in Francia dell’1%. Significa che in media il debito pubblico lavorare in Italia sale di quasi 10 mila euro a 67.800 euro, anche nell’ipotesi che il volume finanziari­o dei titoli di Stato resti immobile ai 2280 miliardi di oggi (negli altri tre Paesi aumenta al massimo di 5 mila euro per abitante «attivo»).

Pil e occupazion­e

Questi però sono scenari ottimistic­i. Se si immagina che il debito in Italia salga dell’1,9% l’anno (pari all’inflazione media calcolata dall’inizio del secolo), il debito pubblico pro capite sale poco sopra quota 100 mila euro. Ma naturalmen­te non tutte le persone fra 15 e 64 anni lavorano: tolti gli studenti, oggi il tasso di occupazion­e è al 58%. Nell’ipotesi fiduciosa che il tasso di occupati nel 2040 sarà cresciuto al 68%, allora vivranno in Italia 22,8 milioni di persone produttive e il debito pubblico suddiviso sulle loro spalle salirebbe a quota 152 mila euro per ciascuna. Si potrebbe andare avanti: per esempio, fra 22 anni il debito pubblico pro capite per lavoratore in Italia sarebbe di 178 mila euro, nel caso che non si facciano altre riforme e il tasso di occupazion­e resti pari a quello attuale. Bisognerà certo vedere quanto sarà cresciuto intanto il Prodotto interno lordo, a fronte di questi oneri. E certo l’italia ha ormai quasi azzerato i suoi debiti netti sull’estero, mentre la struttura dei titoli di Stato è tale da poter oggi sostenere aumenti dei tassi e assicurare un calo del debito in rapporto al Pil anche senza lacrime e sangue nei prossimi anni. Ma se la politica in Italia dimentica il rigore nei conti e le riforme necessarie perché più persone possano lavorare, il rischio è alto: anche di un debito di oltre 200 mila euro per lavoratore attivo fra vent’anni.

I bambini di oggi che debutteran­no nella vita attiva fra vent’anni con questo peso ereditato da noi vorranno compiere una sola scelta: disconosce­rlo e liberarsen­e, migrando all’estero. Ma ciò può solo esacerbare ancora di più l’impoverime­nto demografic­o e complicare la sostenibil­ità finanziari­a del Paese. La politica, oggi, ha un margine di errore pari a zero.

Nuovi ritardi nella modernizza­zione del Paese possono far sì che fra 20 anni ogni lavoratore debba sostenere in media circa 180 mila euro di debito pubblico. Partiti responsabi­li

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