Sole, a piedi, oltre il confine la fuga delle madri di Haiti «Partoriremo al sicuro»
Le infermiere dominicane pronte a tutto, dal colera al terremoto
da una classe dirigente ipercorrotta, di qua la Repubblica Dominicana del turismo internazionale. Dajabón è a centinaia di chilometri dalle spiagge dorate del Sud, dove si arrostiscono americani ed europei. Nel fiume alto poco più di un metro gli haitiani lavano i vestiti, si lavano, giocano. In caso di emergenza, si passa da lì: «Abbiamo curato tutti quelli che lo guadavano quando è scoppiato il colera» spiega l’epidemiologo.
L’ultimo caso di colera è del 2016. Nei cinque ospedali dominicani di frontiera ora arrivano soprattutto donne incinte: il 45% delle partorienti sono di Haiti. «Passano per il bosco o la montagna per raggiungere il presidio di Restauración — spiega l’infermiera —. Spesso da sole, a piedi, con la pancia grossa e livelli di emoglobina rasoterra».
Sotto la frontiera, tra Montecristi e Sabana, si nascondono le due famigerate faglie che scateneranno l’atteso terremoto di magnitudo 7-8. «Non possiamo dire quando, ma c’è un accumulo di energia fortissima ed è certo che prima o poi arriverà», garantisce il presidente della Società nazionale di sismologia, Leonardo Reyes Madera. Siete pronti? «Nessun Paese può esserlo, ma ci stiamo preparando. Alla scossa, alle vittime, ma soprattutto all’arrivo degli haitiani — dice Gregorio Gutiérrez, coordinatore dell’unità per la gestione del rischio al ministero della Salute —. Si è già visto nel 2010: loro hanno avuto il disastro, noi l’emergenza».
Alla Scuola nazionale di gestione del rischio, istituita con il contributo europeo dalla Protezione civile dominicana, confermano la massima allerta. «La nostra è una nazione vulnerabile a inondazioni, terremoti, uragani, tsunami… — dice la direttrice Belgica Tactuk —. Abbiamo programmi educativi a partire dalle elementari e nella facoltà di medicina è diventato obbligatorio il corso di “preparazione al disastro”». Dal 1900 al 2018, in Repubblica Dominicana sono stati registrati oltre 10.000 terremoti. Ogni anno poi, da maggio a novembre, scatta l’allerta uragani, «e i fenomeni sono aumentati in intensità e frequenza». Per tutti questi motivi, nella regione è partito nel 2011 il progetto dell’indice di sicurezza ospedaliera, con un sostanzioso aiuto iniziale della Commissione europea attraverso il programma Dipecho (la quale poi ha optato per altri progetti, gestiti da Oxfam, che non siamo stati in grado di vedere a causa del recente scandalo). Il progetto punta a migliorare la capacità di risposta strutturale e funzionale in caso di catastrofe naturale, dividendo gli ospedali in tre categorie. Negli ultimi due anni si è affiancato il progetto Scuola sicura e Acquedotti sicuri.
«Nei Caraibi non c’è neppure un ospedale di categoria A e il 70 per cento di quelli valutati finora nella Repubblica Dominicana erano in C — ammette la dottoressa Mariam Montes de Oca del ministero della Salute —. Abbiamo iniziato a ristrutturare cinquantadue ospedali, partendo proprio dalla zona di frontiera». L’ospedale Ramon Matias Mella è stato il primo e nel frattempo è stato promosso in categoria B.