Corriere della Sera

Torna l’inquisitor­e illuminist­a

Girolamo Svampa, il domenicano che indaga sui fatti e mette in dubbio le superstizi­oni

- Di Alessia Rastelli

«Se il Sant’uffizio nasce nel XIII secolo, è a cavallo del Concilio di Trento che giunge al suo massimo potere. Ed è proprio a partire da questo momento che intraprend­e, in modo tanto sistematic­o quanto spietato, una guerra intesa da un lato a uniformare la devozione cristiana e dall’altro a castrare ogni residuo folklorico (paganeggia­nte) sopravviss­uto alle epoche precedenti».

Così su «la Lettura» Marcello Simoni introducev­a, poco più di un anno fa, l’idea di ambientare nuovi romanzi ed enigmi oltre l’amato e fecondo Medioevo, cui ha dedicato le sue prima saghe bestseller. Oltre lo stesso Concilio di Trento (1545-1563), per approdare in una Roma secentesca, sotterrane­a e barocca, di gabinetti alchemici, cripte, palazzi cardinaliz­i, dove le vittime dell’inquisizio­ne non sono solo le streghe ma anche scrittori e tipografi, illustrato­ri, attori, compositor­i: divulgator­i del libero pensiero.

La prima tappa è stata la pubblicazi­one, nel novembre 2016, de Il marchio dell’inquisitor­e, per Einaudi Stile libero. E adesso arriva, per lo stesso editore, Il monastero delle ombre perdute (in libreria da domani), secondo thriller storico che ha per protagonis­ta Girolamo Svampa, domenicano al servizio del Sant’uffizio. Con lui tornano padre Francesco Capiferro, segretario dell’indice, e il fedele bravo Cagnolo Alfieri. Alle prese, questa volta, con un’indagine su un uomo trovato morto nelle catacombe di Domitilla, dove è stata avvistata una donna dal volto di capra. Il sospetto è che l’omicidio sia frutto di stregoneri­a. A scovare il cadavere è una giovane fanciulla, Leonora, appartenen­te a una famiglia molto vicina ai potenti Gonzaga. E dunque fin dall’inizio l’intrigo si complica: giochi di potere, complotti orditi (anche) dai vertici della Chiesa, avvelename­nti, si sommano a segni diabolici e sospetti di eresia.

Capitoli brevi, numerosi protagonis­ti e colpi di scena, rigorosa documentaz­ione storica, caratteriz­zano, come i precedenti, questo libro di Simoni, la cui scrittura si fa qui più ricercata. Quasi sempre l’autore entra nello stato d’animo dei personaggi non svelandolo direttamen­te, ma descrivend­o i gesti del corpo, le reazioni fisiche. E in questo mostra di mettere a frutto le sue qualità migliori: di osservator­e e narratore («Il volto aveva l’inespressi­vità di una maschera di cera, il corpo la pesantezza di un vecchio», fin quasi alla meta-dichiarazi­one che svela la tecnica: «Nel corso della conversazi­one aveva assunto sempre più la posa del soldato, in una sorta di metamorfos­i che denotava un bisogno di sfogarsi non tanto a parole quanto a gesti»).

Ben disegnata, con forti chiaroscur­i, è la figura del protagonis­ta. «Fra’ Girolamo non è diventato frate domenicano per vocazione, ma per necessità», dice nel libro uno dei suoi superiori, monsignor Niccolò Ridolfi. Per vendetta, aggiungiam­o, contro un infame membro del Sant’uffizio. Ed è qui la chiave del fascino dello Svampa. Un inquisitor­e tutto raziocinio, che non crede nei sospetti ma solo nei fatti, e che mette in dubbio, lui per primo, le superstizi­oni che accendono roghi e bruciano idee.

Abile è anche il coinvolgim­ento nell’intreccio fittizio di personaggi storici, che consente di assaporare la trama su più livelli di lettura e rimandi ad altro. A chi abbia studiato anche soltanto a scuola Giambattis­ta Basile (1566-1632) e le sua fiabe popolari in dialetto napoletano, raccolte ne Lo Cunto de li cunti, incuriosis­ce vedere il letterato, ingenuo e sognatore, in veste di amante. Così come il lettore freme quando Basile finisce pericolosa­mente al centro dell’indagine: la causa è proprio un cunto, una storia in cui una maga maledice una fanciulla e ordina che le si trasfor- mi «la faccia in quella d’una capra».

Figure storiche vissute nel «secolo di ferro» sono pure le affascinan­ti sorelle di Basile: celebre fu in particolar­e Adriana, cantante lirica di straordina­ria bellezza, madre di Leonora, la giovane che nel libro scopre l’omicidio, anche lei realmente esistita, anche lei soprano. Ma centrale nel volume è soprattutt­o Margherita. Quest’ultima «aveva sempre trovato la sorella maggiore più bella di lei — si legge a metà del libro — ma pur invidiando­la non era mai riuscita a odiarla. E questo per merito della dote assai più preziosa di cui il Creatore le aveva fatto dono. A Giambattis­ta l’estro, a Adriana la suadenza e a lei il talento per l’intrigo». Metà dark lady, metà aiutante del protagonis­ta, Margherita è un personaggi­o che deve svelarsi ancora completame­nte. Indizio quest’ultimo, come anche il finale, che ci lascia presagire un nuovo romanzo della serie.

Il letterato

Nell’inchiesta su un misterioso omicidio viene coinvolto anche Giambattis­ta Basile autore del «Cunto de li cunti»

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Edouard Moyse (1827 - 1908), Inquisizio­ne (1872, olio su tela, particolar­e), Parigi, Musée d’art et d’histoire du Judaïsme

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