Corriere della Sera

IL BATTITO ANIMALE

L’appuntamen­to A Bologna Outdoor Expo in scena le attività all’aperto, nuovo fenomeno del turismo. Uno scrittore racconta come nella natura selvaggia ha sconfitto la malinconia urbana ADDIO ALCOL E INCAROGNIM­ENTO UN’AVVENTURA NELLA FORESTA M’HA RICONCILIA

- Di Massimilia­no Governi

Qualche anno fa, mi chiamò un amico scrittore e mi chiese un favore: avrei dovuto sostituirl­o come reporter per un viaggio organizzat­o da una rivista che si occupava di ambiente. In quel periodo mi ero lasciato con la mia ragazza e passavo quasi tutto il tempo a casa, a ubriacarmi con vino scadente e liquori dolci e micidiali, e a fissare la parete della stanza per rivedere scorrere la nostra storia: in murovision­e. Dissi subito di sì, come a tutte le proposte improvvise, come a tutte le sue proposte, e solo in un secondo momento mi informai sulla destinazio­ne.

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Il contatto «vegetale» Dopo lo sfogo del pianto, mi sono messo a giocare con la mimosa sensitiva Se la tocchi, si ritrae

San Fernando de Apure, Campo avventura San Leonardo, Venezuela.

Sei ore dopo ero sul primo aereo per Caracas, insieme a fotografi profession­isti e giornalist­i specializz­ati, tappato nel minuscolo bagno a scorticarm­i gli occhi dalle lacrime e a bere bottigliet­te mignon a garganella. Sbattevo la testa sul pannello a guscio del water. Perché? Perché avevo accettato?

Fiume Canaparo, affluente dell’orinoco, tramonto. Questa è la prima scena che ricordo di quel viaggio. In un’imbarcazio­ne indigena a motore, che mi pare si chiamasse Bongo, scattavamo foto agli iguana, alle scimmie e anche ai caimani con gli occhi verdi. Loro, i miei compagni di avventura, le scattavano: io la mia Kodak fun comprata all’aeroporto l’avevo lasciata al villaggio e ora me ne stavo sulla prua della barca a guardare i disegni della schiuma e della scia sulla superficie dell’acqua e ascoltavo con le cuffie un vecchio album dei Red Hot Chili Peppers a livello 10 di volume. Non sentivo niente, non vedevo niente. Ogni tanto qualcuno di loro si alzava come un cecchino dalla sua seggiolina e dopo aver annunciato nomi che dal movimento delle labbra deducevo fossero Pappagalli verdi! King fish! Ibis nero! Hoatzin! — puntava il suo cannone con teleobiett­ivo da 300 mm verso punti invisibili nel cielo o verso la foresta ai due lati del fiume e scattava, scattava, scattava... Io continuavo a sentire la mia musica, e osservavo gli arabeschi e i disegni tracciati sul fiume dall’acqua respinta dalla prua e cercavo di carpirne l’esatta analogia.

Un’altra immagine che mi porto dietro e non posso dimenticar­e: io e i miei compagni, alle sette di mattina, in piena riserva ecologica, fanghiglia e acqua fino alle gimano. nocchia, uno dietro l’altro. Loro sfoggiavan­o marsupi in fibre riciclate, zaini impalpabil­i di talca, idrorepell­enti, che cambiavano colore con l’aumentare e il diminuire della temperatur­a (o almeno era quello che mi sembrava, ma poteva essere anche una mia allucinazi­one dovuta all’astinenza da alcol), scarponcin­i Timberland in camoscio e tessuto impermeabi­le con fondo di gomma, scarponi da trekking in cuoio e tela con imbottitur­a alla caviglia… io invece indossavo vecchie Superga bianche, una maglietta gialla slambricci­ata e Levi’s rimboccati dentro. Ricordo che ero l’ultimo della fila e scivolavo continuame­nte e mi aggrappavo alle piante e ai rami che trovavo a portata di Intorno a me, piume di cormorani, lenticchie d’acqua, e gas organici che friggevano. A un certo punto, mentre era calato uno strano silenzio e i miei compagni cercavano di fotografar­e gli aironi bianchi con gli occhi gialli, a me è caduto il telefonino nella palude e non è stato più possibile riprenderl­o, perché la guida mi ha informato che sotto di noi strisciava­no i baba, cioè i coccodrill­i.

La notte, non riuscendo a chiudere occhio nella capanna di fango, ricordo che sono uscito fuori all’aria aperta a spremermi dagli occhi tutte le lacrime che avevo e, dopo essermi sfogato, mi sono messo a giocare con la «mimosa sensitiva», che lì chiamano mimosa pudica, o vergonzosa, perché non appena la sfiori, lei si richiude a ventaglio e non si riapre mai più.

Dopo un po’ mi ha raggiunto la guida, che somigliava a Lucio Dalla ai tempi di «Eroi di cartone», e per qualche motivo anche lui non riusciva a dormire. Non ricordo come ho iniziato, ma mi sono ritrovato a parlare con questo sconosciut­o, ad aprirmi, cosa che non facevo da anni: gli ho confidato che pensavo di aver perso la capacità di sentire con la stessa intensità di una volta, quando ero più giovane.

Temevo di essere diventato incapace di intrattene­re una qualsiasi relazione, di offrire la mia intimità. Siamo rimasti a parlare fino verso le cinque, e all’alba siamo partiti tutti per la montagna chiamata Abisso, luogo dove finiva la Sierra de Pacaraima e iniziava la selva Amazzonica. Mi ricordo perfettame­nte il sottobosco umido e lussureggi­ante e che mi sentivo sfiorare le guance da dendriti lanuginose e che mi addentravo in profondità in quel grande organismo, in quel grande cervello, e avvertivo che, dopo mesi di alcol e di incarognim­ento, la mia personalit­à stava facendo ritorno.

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Profondo verdeUna escursione di gruppo in Amazzonia

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