«La panchina di Milano non mi deprime La Nazionale mi esalta»
Abass: «Il razzismo c’è, ma non do retta alle provocazioni»
«Il segreto di questa Italia? Non ci sono segreti. Un segreto è qualcosa che nessuno conosce. Qui invece è evidente che siamo un bel gruppo, affiatato, che lavora duro in allenamento. Tutte queste cose poi si sommano in partita. E i risultati si vedono».
Dottor Awudu o mister Abass? Il trascinatore in maglia azzurra o il milanese imbruttito in campionato e in Eurolega? L’olimpia lo ritiene un giocatore da panchina, talvolta da tribuna, Meo Sacchetti l’ha schierato in quintetto contro l’olanda. E Abass ha ritrovato sorriso e canestri.
Dica la verità, le finestre Fiba per le Nazionali per lei sono una benedizione...
«Di sicuro mi stanno aiutando molto in quanto a esperienza in Nazionale. Fino allo scorso anno bisognava aspettare l’estate per il raduno, ora invece è bello trovarsi con i compagni di altri club, giocare partite importanti».
Dica ancora la verità: ha la testa più leggera in azzurro?
«Sì, mi viene chiesto di fare quello che so fare, di dare quello che ho. Ho avuto la fortuna di riuscire a far risaltare le mie abilità».
Da altre parti non è così?
«Non mi pongo il problema. Le cose che ho in controllo sono dare il massimo in allenamento, cercare di migliorare, essere disponibile per la squadra, cercare di dare il massimo in campo quando tocca a te. Poi ci sono altre cose che non sono nel mio controllo, e non posso rimanerci male o abbattermi».
Come vive la panchina?
«Cerco di essere positivo. Se questa non è la mia partita, lo sarà la partita dopo. Poi è normale che ogni tanto ci rimanga male, ma finisce lì».
Che cosa la indispone?
«Le ingiustizie e la mancanza di meritocrazia».
Lo sport è meritocratico?
«Lo sport non mente. Mai. Chi è più bravo emerge. Poi però dipende da tante cose».
Per esempio?
«Da dove si è».
A Milano c’è chi merita più di lei?
«Non scherziamo: a Milano ci sono tanti campioni. Io lavoro duro per farmi trovare pronto quando tocca a me».
Tanti campioni ma pochi risultati. Come mai?
«Il gruppo è un buon gruppo, purtroppo non stiamo riuscendo a esprimere tutte le nostre potenzialità, che ci sono. In questo momento sembriamo i nostri cugini, non stiamo riuscendo a giocare come vogliamo».
L’eliminazione in Coppa Italia è stata una figuraccia.
«Ne siamo consapevoli. Dopo la sconfitta con Cantù ci siamo parlati, confrontati, abbiamo capito e sono convinto che le cose ora andranno meglio. E soprattutto, che dagli errori si impara».
Dicono di lei che apra la palestra prima dell’allenamento e la chiuda alla fine.
«Non sai mai le occasioni quando potrebbe arrivare la tua occasione e quindi devi essere sempre pronto. Io vivo in palestra. Probabilmente neppure i miei compagni, o i miei allenatori, sanno quante volte io vada in palestra, anche in momenti improponibili. Lo faccio perché mi fa star bene. E perché voglio migliorarmi».
Qual è il suo giocatore di riferimento?
«Mi piacciono i giocatori completi. Se devo indicarne uno, allora dico Kawhi Leonard, un grande attaccante che però è anche il miglior difensore della Nba».
Le piace difendere...
«È un bel modo per rendersi utili alla squadra».
Lei ha 25 anni. In Italia è considerato un giovane.
«E invece io a 25 anni non mi sento per nulla un ragazzino, per le responsabilità che ho in campo e fuori. Purtroppo questa è la mentalità in Italia, me ne rendo conto anche nella quotidianità. Io mi sento un uomo che sta entrando nel pieno delle sue capacità».
In passato si è candidato come consigliere comunale a Como. Le piace la politica?
«Non mi vergogno a dirlo: sono ormai anni che non la seguo minimamente. Non trovo interesse, non vedo una cosa nuova che potrebbe dare slancio al nostro Stato».
«Nostro Stato». Lei si è sempre sentito italiano.
«Sempre. Già a 5 anni l’unica cosa che volevo era giocare nella Nazionale italiana».
È stato facile integrarsi?
«Sono nato a Como, ho fatto
tutte le scuole a Como, non è stato complicato inserirmi, ero già inserito».
L’italia è un Paese razzista?
«L’italia è un Paese dove ci sono alcune persone razziste. Ancora qualche giorno fa mi è capitato di essere insultato, ma io non sono uno che ascolta le provocazioni, la mia vita non cambia se non reagisco, anzi potrebbe cambiare se invece reagissi. Io sto bene, c’è tanta gente che mi vuole bene. Non sto ad ascoltare persone che disprezzano la diversità».
La sua giovane Italia può arrivare al Mondiale?
«Certo che può. Basta farci trovare pronti. Sempre».