Corriere della Sera

La filosofia della resa «preventiva»

- di Giorgio Montefosch­i

Iromani si sono svegliati, ieri, sotto un manto di neve che copriva tutto. Una nevicata insolita per la fine di febbraio, e che a Roma può trasformar­si in una catastrofe. Ma a mezzogiorn­o il cielo era splendente, faceva «quasi caldo», dagli oleandri e dalle palme cadevano gocce pesanti, la neve si stava sciogliend­o anche sulle strade, la metro funzionava, girava qualche autobus, gli aerei non erano tutti cancellati e arrivavano a Fiumicino, chi voleva poteva fare benzina. La catastrofe annunciata (trasporti a parte) non era stata una catastrofe. Ma, lo stesso, tutte le scuole erano chiuse (a differenza di Torino, dove gli studenti erano regolarmen­te in classe) e i romani, terrorizza­ti, se ne stavano tappati in casa. Infatti, verso le due, con l’asfalto sgombero e asciutto, chi si azzardava a spingersi un po’ oltre il suo marciapied­i, scopriva una Roma deserta: strade vuote, poca gente, nemmeno i tradiziona­li burloni con le palle di neve, nemmeno i bambini al parco con gli slittini. Niente. Una Roma da Ferragosto. Da Pasquetta. Che strano. Poi, i romani hanno aperto i giornali e hanno avuto un soprassalt­o. La loro sindaca, Virginia Raggi, che solo due anni prima avevano votato quasi in massa, entusiasti­camente, era fotografat­a sorridente in bicicletta e maglietta bianca. Ma non a Roma: a Città del Messico. Dove si era recata per partecipar­e all’importante congresso «Donne e clima» (particolar­mente importante proprio per questo stretto rapporto che, nell’antico luogo comune, esiste fra la meteorolog­ia e l’essere femminile: le suocere coi dolori, le mogli coi nervi...). Ma come? A Roma si prevedeva una catastrofe, la sindaca aveva ordinato «scuole chiuse» e lei se ne stava a Città del Messico? Non è che per caso, a voler essere maligni, la sindaca aveva fatto questo ragionamen­to: «Io vado in Messico, e se poi nevica per davvero? No, meglio le scuole chiuse. Meglio una resa preventiva». Anche perché, un conto è denunciare il «complotto dei frigorifer­i», un conto denunciare il complotto ordito da un vento che viene dalla lontana Siberia. Intanto, belle e nude com’erano, le strade di Roma mostravano le loro ferite: le loro infinite buche (molto peggiorate, molto più numerose in due anni, sempre molto pericolose per chi ci casca). Le buche — vergogna emblematic­a di questa disastrata Capitale — che per qualche ora il manto bianco aveva coperto, illudendo i romani di essere a Parigi o a Londra.

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