Corriere della Sera

Noi in fila e quegli altoparlan­ti (che però non parlano mai)

In stazione poche informazio­ni e solo in italiano. Poi si parte, al rallentato­re

- di Flavio Haver

ROMA L’incubo inizia quando arriva il momento di uscire da casa per avviarsi a Termini. Fiocca, sono le 7 del mattino: dieci centimetri di neve hanno svuotato le strade della Capitale. Ma gli pneumatici termici fanno il loro dovere e, in fondo, arrivare nello scalo più grande d’italia, paradossal­mente, è più semplice che in un ordinario, caotico giorno di traffico cittadino.

Il vero e proprio calvario comincia nella stazione. Treno Frecciaros­sa programmat­o in partenza alle 8, arrivo previsto a Milano Centrale alle 10.59: l’atrio è già pieno di viaggiator­i, che non sanno cosa li aspetta. Italiani, ma anche giapponesi, americani, tedeschi, cinesi. Tutti con lo sguardo proteso verso i gigantesch­i cartelloni con gli orari dei convogli. Sperando, forse, di riuscire a lasciare Roma con qualche decina di minuti di ritardo, nulla di più. «Scusi, sa darmi qualche indicazion­e, sa dirmi quando partirò?», chiede un signore di mezza età — chiaro accento romanesco — a un’affannata operatrice della biglietter­ia di Trenitalia. «Mi dispiace, appena sarà possibile gli altoparlan­ti comunicher­anno ritardi e orari», è la riposta disarmata. E disarmante.

Non rimane altro da fare che attendere. E sperare. Aspettare al gelo, però, perché fa freddo e l’unica zona della stazione riscaldata è la galleria sotterrane­a dove si affacciano molti negozi. Che in un batter d’occhio si trasforma in un gigantesco bivacco, dove giovani e meno giovani cercano riparo.

Il tempo trascorre. Inesorabil­e. Ma del treno veloce che doveva partire alle 8 nessuna notizia. E gli altoparlan­ti? Tacciono a lungo, senza comunicare nulla. E, soprattutt­o, quando «gracchiano», le informazio­ni — scarne e sempre più preoccupan­ti — vengono diffuse solo in italiano. E i poveri stranieri, disperati tanto quanto gli italiani? Nulla, niente che li aiuti a districars­i nel caos, a capire come non essere travolti da una perturbazi­one annunciata che ha «colpito» e ha messo in ginocchio la rete ferroviari­a italiana con una manciata di centimetri di neve.

Tant’è. Tra un annuncio di ritardo e un altro, tra un’imprecazio­ne e un gesto rabbioso di chi proprio non ce la fa più («In fondo, basta rassegnars­i», taglia corto un’elegante signora sulla quarantina attesa a Milano da un impegno di lavoro) finalmente il Frecciaros­sa si muove — lentamente — da Termini alle 12.20. Le sorprese, però, sono tutt’altro che finite. La linea dell’alta velocità è in tilt. E allora il treno viene instradato sulla vecchia (e tortuosa) linea: procede a strappi, si ferma a Fara Sabina e transita per Poggio Mirteto («Ma dove siamo, dove stiamo andando?»), si chiedono — preoccupat­e e sempre più perplesse — quattro ragazze di Napoli che, fino a quel momento, l’avevano presa con filosofia. «Tranquille, arriveremo. Non si sa quando, ma arriveremo», risponde con un rassicuran­te sorriso un signore sulla cinquantin­a in giacca, cravatta alla moda e gilet. Del capotreno,

I messaggi «Tranquille, non si sa quando ma prima o poi arriveremo». «In fondo basta rassegnars­i»

In carrozza ristorante La coda dei passeggeri parte due vagoni prima «Panini e biscotti finiti, c’è ancora cioccolata»

nessuna traccia. Quindi, nessuna spiegazion­e. E ormai anche gli addetti del servizio ristorazio­ne si arrendono: la coda dei passeggeri per assicurars­i una cosa da mangiare si snoda per due vagoni. «Panini finiti, biscotti finiti: ho un po’ di cioccolata, un’aranciata e qualche bottigliet­ta d’acqua naturale», dice Salvatore, deciso ma anche lui consapevol­e che la giornata non è delle migliori.

Rabbia e rassegnazi­one sono alla pari. Ma il Freccia finalmente arriva a Milano: sono le 16.20. Il calvario è finito.

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