Renzi si prepara alla resa dei conti: comunque vada, io non lascerò
L’avvertimento del segretario alla minoranza per il dopo 4 marzo
ROMA «Non ci sarà nessun passo indietro»: Matteo Renzi è netto. Anche se il Pd dovesse prendere una batosta, e scendere, magari, al 20 per cento, lui non si dimetterà. «Sono il segretario eletto dalle primarie», afferma con forza il leader del Partito democratico. Quello di Renzi è un messaggio a chi «parla già del dopo». Ovvero agli avversari interni.
Nell’ennesima giornata di campagna elettorale, in cui il segretario si divide tra l’assolombarda, un’intervista a mezzogiorno a Sky e un’altra serale a Matrix, il leader del Pd coglie l’occasione per mettere i puntini sulle i. Sa che le minoranze da tempo vanno
Le parole su Craxi «Le monetine tirate contro Craxi al Raphael? Una vicenda indegna»
dicendo «il 5 marzo faremo i conti» e che ipotizzano «un congresso anticipato se il partito scenderà al 22-23 per cento». E invece di aspettarli al varco, Renzi li anticipa, forte del fatto che, come dicono i suoi, «non c’è una soluzione alternativa» a lui.
Non l’hanno ancora né Andrea Orlando né Michele Emiliano. Però i due sono pronti a giocare di sponda con pezzi della maggioranza del partito. Con Franceschini, per esempio, che a Renzi fa qualche appunto: «Forse dovrebbe fare più sintesi, mediare, ascoltare, accettare le critiche». E tra gli avversari del leader c’è pure chi vorrebbe coinvolgere Delrio nell’operazione. Di più. I renziani sono andati convincendosi che dentro il partito ci sia anche chi gioca di sponda con una parte di Liberi e uguali. Con D’alema, per l’esattezza.
L’ex ministro degli Esteri si è andato convincendo che Leu non può giocare da sola («Non siamo mica Democrazia proletaria») anche perché non ha davanti a sé grandi praterie. Tant’è vero che l’altro giorno, incontrando un sondaggista, si è fatto sfuggire questa domanda: «Di quanto stiamo sprofondando?».
Insomma, dal 5 marzo Renzi dovrà fronteggiare avversari interni ed esterni che vorrebbero sbarazzarsi di lui, politicamente, ben si intende. Il segretario è conscio di questo fatto. E ieri si è lasciato andare a una confidenza pubblica: «Nei mie confronti c’è stata una strategia evidente, alla quale non ho saputo oppormi, di odio ad personam». Però Matteo Renzi è sicuro che i peggiori auspici dei suoi nemici non si avvereranno nelle urne. «In un ramo del Parlamento, non posso dirvi quale, siamo il primo partito», dice ai giornalisti. E il leader del Pd punta con tutte le sue forze a questo obiettivo, che gli consentirà di poter dare ancora le carte per conto del Partito democratico e del centrosinistra. Lo ha spiegato chiaramente ai suoi. «Dobbiamo guidare noi la partita, perché altrimenti ci condanniamo a essere sconfitti almeno per i prossimi dieci anni».
Perciò il segretario ha intensificato ulteriormente i ritmi della sua campagna elettorale. Che ha impostato su una polemica asperrima con grillini e leghisti. Ma niente anti-berlusconismo alla maniera della «vecchia sinistra». Con Berlusconi lo scontro è duro, però sempre nei limiti della civiltà. E infatti ieri Renzi gli ha mandato un «in bocca al lupo» via Sky come si fa con gli avversari che si rispettano. Del resto, visto che le campagne d’odio, come ha raccontato lui stesso, lo hanno colpito in prima persona, non vuole farsene promotore. Quindi, interpellato a Sky su Craxi, risponde così: «Quella dell’allora segretario del Psi che esce dall’hotel Raphael è una pagina indegna del nostro Paese. Ognuno può avere l’immagine che vuole, ma vedere monetine tirate contro Craxi fu un’immagine pessima e devastante per il Paese».