Quei cacciatori al seggio Il duo bizzarro della destra che cerca i voti in Veneto
Gli alfieri dei fucili arruolati da FDI nel collegio di Schio
La sua passione, dice, è «la caccia al beccaccino». E quella «in valle» tanto amata da Ernst Hemingway: «I rumori son quelli di un cefalo che qua e là guizza a mezz’aria e ricade nell’acqua, del fruscio delle foglie appena mosse dal vento, del richiamo degli uccelli migratori…». Se potesse, però, Maria Cristina Caretta impallinerebbe (politicamente, ovvio) anche tutti i «provocatori» (così li chiama) colpevoli di battersi per abolire la caccia.
Dovesse vincere la destra, lunedì prossimo ne troverebbe diversi, nella scia di Dudù e della ondata d’affetto per cani, gatti e criceti, anche sulla sponda dell’ex Cavaliere. Distanti sul tema quanto Mercurio e Nettuno. Lei considera la caccia come la nobil arte cantata dal Boccaccio: «Avea Diana nella man sinestra / Un arco forte, noderoso e grosso / Tal che daria fatica ad ogni destra…». Loro vorrebbero che ogni cacciatore provasse i panni di Atteone che nelle Metamorfosi di Ovidio, ricorda Paolo Isotta nel suo ultimo libro, «si ritrova mutato in cervo da Diana e sbranato dai suoi stessi cani».
La passione
Bionda platinata, occhi azzurri, vicentina di Thiene, operatrice di sistemi informatici, presidente nazionale della Confavi, la Confederazione associazioni venatorie italiane, la Caretta (che porta curiosamente il nome di una specie in via di estinzione nelle acque italiane, la tartaruga «caretta caretta») racconta di aver preso una cotta per la caccia durante una gita con amici in un capanno in laguna: «Pioveva, faceva freddo, era una giornataccia. Fu bellissimo. Tornata a casa, feci subito la licenza». Papà e mamma? «Mai cacciato». Fratelli e cugini? «Mai cacciato». Marito? «Mai cacciato».
Isolatissima in famiglia, giura di non esserlo in Italia, a dispetto del calo inesorabile annotato dall’istat (un milione di doppiette in meno dal 1980), e soprattutto in terra veneta: «Noi cacciatori siamo 700 mila, facciamo girare con l’indotto 8 miliardi di euro, diamo lavoro a centomila persone e qui in Veneto siamo 45.000».
Un esercito elettorale. Tanto che, dopo anni di bisticci, si è via via affermata una sorta di «pax venatoria» coi leghisti. La quale ha portato Sergio Berlato, il «capo-caccia» di FDI che ce l’ha a morte coi «nazi-animalisti», a conquistare prima un seggio in Regione e poi a Strasburgo. Per tre legislature. Battendo sempre sullo stesso tasto: caccia, caccia, caccia.
Un’ossessione. Redditizia. Al punto che alle elezioni di domenica prossima raddoppia. E oltre ad aver ottenuto dai vertici destrorsi il posto di capolista al plurinominale alnia”». la Camera a Vicenza ha strappato la candidatura anche della Caretta nel collegio di Schio-recoaro-valdagno. Due postazioni, dicono, blindate o quasi. Nonostante un processo in corso in comune: un caso di tessere taroccate del Pdl vicentino di sette anni fa. Innocenti, ovvio, fino alla Cassazione.
Tra cattolici e sinistra
Sono passati cinquant’anni esatti, dall’aprile del 1968 in cui a Valdagno una rivolta degli operai buttò giù la statua di Gaetano Marzotto, protagonista «del passaggio del paese da una condizione di arretratezza, analfabetismo e precarietà alla cosiddetta “città sociale” o “città dell’armo- Un episodio a suo modo epocale non solo per il Vicentino ma per l’italia intera. Mezzo secolo. Il Veneto non è più quello narrato sul Corriere da Alberto Cavallari («la sola Regione che perde popolazione» e la sola «col 17% dei ragazzi che non finiscono elementari») e quella «rivoluzione rossa» tanto rossa poi non fu, ricorda oggi Pietro Marzotto: «C’era un sindacalismo forte e battagliero ma cattolico e il nostro Comune per tanto tempo è stato in mano ai liberali». Per poi aprirsi a sinistra, ma non troppo.
Certo, la Schio della Lanerossi, che un secolo fa era la principale industria laniera italiana e costituiva con la vicina ma lontana Valdagno (non c’era ancora il tunnel) uno dei poli industriali più importanti del Paese, era più «rossa». Lì era nato e cresciuto quel Pietro Tresso che sarebbe stato tra i fondatori del Pci. E lì, per decenni, la città è stata in mano ai cattolici di sinistra e all’ulivo. Ma anche la roccaforte, l’ultima volta, è caduta.
Doppiette bipartisan?
Maria Cristina Caretta, ovvio, sulla vittoria frena: «Ho imparato dalla caccia che certi colpi, quando sembrano facili facili, li puoi sbagliare». Ma è sicura che voteranno lei anche tanti cacciatori di sinistra: «Prima viene la caccia, poi il resto». In Parlamento, spiega, vuol portare «l’interesse dei cacciatori contro il vento animalista». Punta in particolare, ha detto a una tivù locale durante l’«hit Show», la fiera delle armi di Vicenza (contro la quale minacciò il boicottaggio perché era inizialmente vietato l’ingresso ai minori di 14 anni) a far sì che «ogni regione possa muoversi in regime di deroga». Secondo lei infatti la legge nostra «è la più restrittiva d’europa».
Obiettivo che non mancherà di sollevare un putiferio con gli ambientalisti secondo i quali «siamo sommersi di procedure di infrazione da parte della Ue proprio perché le Regioni, nonostante la nostra legge non sia restrittiva, la violano continuamente con mille deroghe».
«Pena? Mai»
Ma lei, in tanti anni di caccia, ha mai provato pena per qualche povera bestia uccisa? «Mai. Anche gli alberi, per crescere bene, devono essere potati. La caccia fa parte da millenni della nostra storia. I parchi altoatesini sono i migliori perché l’equilibrio è garantito proprio da noi, i cacciatori». Sicura che non buttino mai giù anche specie protette? «Qualche maleducato c’è sempre». Ma quanto rischia, ad esempio, chi uccide un’aquila reale? «Mi faccia vedere: arresto da due a otto mesi o un’ammenda fino a 2.065 euro». Cioè meno dei 3.600 euro previsti dalla legge del Veneto per chi disturba i cacciatori con i fischietti? «Quella è una legge giusta. Gli animalisti hanno esagerato. Arrivano squadracce di incappucciati che circondano i cacciatori, li minacciano, li intimoriscono…». Squadracce…
A proposito di armi: vorrebbe che ce ne fossero di più? «Credo che sarebbe giusto darla, la pistola, a chi la vuole e ne ha diritto». Anche se in America, con tutte quelle armi, si uccide nove volte più che in Italia? «Lì hanno altre regole». Ma lei darebbe pistole e fucili ai professori in classe? Sospira. «Posso avere un’altra domanda?».