Corriere della Sera

«Erano travestiti da soldati» La trappola di Boko Haram

Nigeria, 110 studentess­e rapite. I racconti delle sopravviss­ute

- NIGER Chibok CIAD CAMERUN (Afp/ Aminu Aabubaka)

ADapchi isha Kachalla voleva fare l’insegnante, oppure l’infermiera. Ora chissà. Una settimana passata con gli estremisti di Boko Haram potrebbe aver azzerato ogni aspirazion­e di questa tredicenne. I familiari non si danno pace. «Era stata a casa alcuni giorni perché si era ammalata, poi domenica sera l’abbiamo riportata in collegio e l’indomani c’è stato l’attacco» si tormenta il fratello raggiunto dai media nigeriani. Aisha è una delle 110 studentess­e mai più tornate a casa dopo che il 19 febbraio i jihadisti hanno fatto irruzione nel loro istituto a Dapchi, stato di Yobe, nel nordest della Nigeria, a nemmeno 300 chilometri da Chibok, altra località fissata nelle mappe internazio­nali soltanto dopo il sequestro record firmato sempre da Boko Haram quattro anni fa.

A una settimana dalla loro scomparsa, il governo ha finalmente ammesso quello che era sembrato evidente fin da subito: le ragazze fuggite nella boscaglia e mai più ritornate sono nelle mani degli islamisti. E iniziano ad emergere i resoconti delle sopravviss­ute, per giorni messe a tacere dalle autorità che avevano vietato anche alle famiglie di parlare con i giornalist­i.

Gli spari in strada, la fuga delle allieve prima del raid dei miliziani nella scuola. Poi, una volta fuori, alcune hanno cercato riparo nella boscaglia, macinando chilometri, altre sono saltate sui pick-up dei miliziani, attirate con l’inganno: gli estremisti indossavan­o uniformi militari, si sono spacciati per soldati, ha rivelato chi è riuscito a fuggire. Come Amina Mallam Usman, 15 anni: «Erano in divisa militare, ci chiamavano, dicevano di salire sulle loro auto. Mi sono avvicinata pensando che fossero soldati, ma a un certo punto uno mi ha riso in faccia. A quel punto ho capito che era una trappola — ha riferito alla Reuters —. Mi sono girata per scappare mi ha afferrato per l’hijab. Me lo sono sfilata velocement­e e sono corsa via. Pensavo di morire. Ho corso per La scuola

I sandali abbandonat­i dalle ragazze rapite il 19 febbraio a Dapchi, Nigeria cinque chilometri, fino a un insediamen­to di pastori fulani».

Simile la ricostruzi­one di Hassanah Mohammed, 13enne scampata pure lei ai miliziani: «I terroristi erano in divisa militare con turbanti in testa. Continuava­no a dirci di andare da loro, che ci avrebbero salvato — ha detto Hassanah alla Cnn — Non li abbiamo ascoltati e abbiamo continuato a correre. Ero con mia sorella più piccola, la tenevo per mano, ma nella confusione Fuggite Amina Mallam Usman, 15 anni, è riuscita a scappare l’ho persa. Da allora non l’ho più rivista».

È a pezzi Hassanah, allo choc per quello che ha vissuto si aggiunge il dolore per quella sorella sfuggitale di mano. Ci sono disperazio­ne, paura ma anche tanta rabbia tra i familiari delle ragazze. Perché una settimana prima dell’attacco erano stati smantellat­i i check point all’ingresso di Dapchi: «È come se quelli di Boko Haram ci stessero osservando. Appena spariti i soldati, ci hanno attaccato» si è sfogato il padre di Aisha Kachalla, in prima linea nell’associazio­ne dei genitori delle studentess­e scomparse che si è costituita dopo questa tragedia, per venirne a capo mentre dalle autorità filtravano poche e confuse notizie, a volte poi clamorosam­ente smentite: «Quella del rilascio delle ragazze ci aveva fatto esultare di gioia qualche giorno fa, poi la delusione», struggente, rievoca Bashir Manzo, capo di questa associazio­ne. Di sua figlia Fatima, 16 anni, non c’è più nessuna traccia dal 19 febbraio. Per il quotidiano nigeriano Daily Trust alcune delle ragazze rapite a Dapchi sono state portate in Niger, forse vendute come schiave sessuali.

Il papà di Aisha vuole essere ottimista: «Sono molto triste, ma io la sto aspettando».

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