Corriere della Sera

La scelta di produrre vino e quell’etichetta «Per papà»

- Di Luciano Ferraro

Quando provò a chiedergli un aiuto per evitare il servizio militare, il padre Angelo lo rassicurò: «Ti aiuto». Invece lo fece partire subito, arruolato, 18 mesi in fanteria. Al ritorno voleva, «come tutti gli altri figli di imprendito­ri di Milano», trasferirs­i in America. Il padre gli indicò una scrivania e una sedia: «La tua America è questa sedia», disse. E da quel momento Gian Marco Moratti iniziò la carriera. «Mio padre mi ha insegnato tutto. Era capace di smontare una raffineria in America e di rimontarla qui. Con lui sono diventato un imprendito­re», raccontava spesso ai pochi amici che riceveva nella casa vicina al Duomo, schierando il cuoco di famiglia e i camerieri in guanti bianchi. Prima degli anni della Milano da bere frequentav­a Jannacci e Cochi e Renato: con loro partiva per Maleo, per pranzare al «Sole», il ristorante di Franco Colombani. «Ho imparato a mangiare lì», diceva. E per qualche ora lasciava nell’armadio la grisaglia da petroliere e si divertiva. Ogni anno versava cifre straordina­rie a San Patrignano, trascorrev­a tutti i fine settimana nella comunità. Il papà gli aveva trasmesso l’interesse per il vino, regalandog­li al matrimonio costose bottiglie, anche francesi. E lui decise di far produrre il vino nella cantina di San Patrignano, usata come terapia. Disse agli amici: non regalatemi più maglioni e penne, portatemi vino. In pochi anni ha accumulato duemila bottiglie, stivate in due cantine fatte costruire sotto l’abitazione. Accanto a lui la moglie Letizia Moratti, mano nella mano. Sempre.

A Natale, il loro ultimo assieme, lei gli ha regalato la promessa di un quadro di Tullio Pericoli sul castello di Cigognola.

Il luogo diventato il centro dell’ultima passione di Moratti. La tenuta appartenev­a alla famiglia di lei, ma era stata messa in vendita dal padre, partigiano in Val d’ossola, arrestato a Torino dalla Gestapo e internato a Dachau fino all’arrivo del generale Patton. Finito in coma, quaranta chili di peso, decise al risveglio di disfarsi del castello che era stato occupato dai nazisti. Moratti lo venne a sapere per caso e lo acquistò facendolo rivivere, ripiantand­o le vigne con l’enologo Riccardo Cotarella e dedicando un vino, il suo preferito, il Nebbiolo, al padre. Nell’etichetta solo due parole: «Per papà».

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