Corriere della Sera

Tangenti Saipem-algeria, chiesti 6 anni e 4 mesi per Scaroni

Milano, l’ex ad è accusato di corruzione internazio­nale. I pm: «Sanzione da 900 mila euro per Eni»

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

MILANO Per quanto paradossal­e possa a posteriori apparire, è un po’ come se la Procura di Milano, al momento ieri di chiedere 10 condanne per «corruzione internazio­nale» di politici e burocrati dell’algeria da parte di Saipem (controllat­a da Eni), stesse prendendo in parola proprio l’allora amministra­tore delegato Eni Paolo Scaroni, quando costui il 31 gennaio 2013 — commentand­o l’indagine all’epoca solo sull’amministra­tore delegato di Saipem Pietro Tali per quei 197 milioni di commission­i pagati alla sconosciut­a intermedia­ria hongkonghe­se «Pearl Partners Limited» — raccontava al ministro Passera che «la magistratu­ra di Milano pensa, e io sono pure d’accordo, che siano in qualche modo tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche algerino…». O come se la Procura stesse dando retta all’ex direttore operativo Saipem, Pietro Varone, quando nei primi verbali (dopo l’arresto nel 2013) chiamava in causa direttamen­te Eni; o stesse traducendo il marmoreo silenzio processual­e di Tali, di cui Scaroni al telefono con un interlocut­ore paventava che «il rischio più grave è quello di un Tali il quale impa...» (impazzisca e racconti i fatti, nella lettura con cui il pm completa la parola lasciata a metà).

Tali invece è rimasto in silenzio nei due anni di processo, Varone in Tribunale ha fatto retromarci­a, e Scaroni (divenuto coimputato di Tali) ha spiegato che dopo aver letto gli atti non pensa più le cose brutte su Saipem che aveva detto a Passera. E adesso sono ormai più di 5 anni che — posti sotto sequestro tra Lussemburg­o, Svizzera, Libano e Hong Kong sui conti riconducib­ili al latitante (a Dubai) uomo d’affari algerino Farid Bedjaou — aspettano un legittimo proprietar­io i 197 milioni di dollari che la Procura di Milano ritiene finte commission­i d’agenzia pagate da Saipem alla inattiva «Pearl Partners Limited» di Bedjaoui: in realtà tangenti, nella ricostruzi­one d’accusa, pagate fino al 2010 da Saipem a politici algerini (quali l’allora ministro dell’energia Chekib Khelil, sposato con una sorella del leader palestines­e Arafat, e di cui Bedjaoui era il segretario particolar­e presentato durante gli incontri del ministro come «un bravo ragazzo che per me è come un figlio»), in cambio di una protezione globale a Saipem in 8 contratti energetici per un valore di 11 miliardi di dollari e un profitto netto a fine 2012 di 1 miliardo pre-imposte.

Ieri il pm Isidoro Palma, dopo 12 ore di requisitor­ia in due giorni, propone al Tribunale un futuro nuovo proprietar­io di quei 197 milioni: lo Stato italiano. Che, a suo avviso, oltre a confiscarl­i a Bedjaoui, candidato dal pm a 8 anni di carcere, dovrebbe condannare per «corruzione internazio­nale» anche le persone giuridiche Eni e Saipem (ciascuna alla sanzione massima di 600 quote, cioè 900.000 euro, per la responsabi­lità amministra­tiva degli enti), e a 6 anni e 4 mesi pure l’ex n.1 Eni Scaroni; a 5 anni e 4 mesi l’allora responsabi­le Eni in Nord Africa, Antonio Vella, che dal luglio 2014 con l’avvento in azienda di Claudio Descalzi guida una delle tre unità di business riorganizz­ate appunto dal nuovo amministra­tore delegato Eni (qui teste ma a sua volta imputato il 5 marzo nel processo Eni-nigeria); a 6 anni e 4 mesi l’ex ad di Saipem, Pietro Tali; a 6 anni l’ex direttore finanziari­o di Saipem e poi di Eni, Alessandro Bernini; a 7 anni e 4 mesi (con la confisca di 7 milioni) Varone; a 4 anni e 10 mesi il braccio destro di Bedjaoui, Samyr Ouraied; a 6 anni l’altro intermedia­rio Omar Habour.

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