I facili consensi nell’editoria di oggi
Dice Tiziano Scarpa, intervenendo sull’«espresso» a proposito della (non) diffusione della letteratura italiana all’estero: non c’è da stupirsi se tocca a Sant’elena Ferrante suscitare qualche interesse per la cultura italiana nel mondo. In effetti, dopo Calvino e Eco, piaccia o no, è arrivata o arrivato la scrittrice o lo scrittore (o l’unione tra i due) che si firma Ferrante a offrire «un’immagine di che cos’è stata in questi decenni Napoli, che cos’è oggi, che cosa sono le donne e gli uomini italiani». In una recente cronaca americana, Nicola Lagioia ha scritto che Ferrante negli Usa è più famosa di Philip Roth e che questa sarebbe una notizia meravigliosa se non fosse che gli italiani non se ne sono accorti. Paolo Di Paolo ha risposto che però il ruolo di ambasciatore internazionale svolto da Ferrante è ingannevole, in quanto la saga de L’amica geniale è tutt’altro che rappresentativa della letteratura italiana d’oggi, che non è per nulla «ferrantizzata». Giancarlo De Cataldo dice «purtroppo»: probabilmente ama Sant’elena al punto che gli piacerebbe una letteratura completamente «ferrantizzata». E poi, aggiunge, ha torto Elvira Seminara (intervenuta a sua volta) nel ritenere che i romanzi italiani siano in mano a editor dediti a normalizzarne lo stile in chiave marketing. Non è così semplice: intanto è un’idea riduttiva degli editor e poi spesso gli scrittori ci pensano in proprio a essere stilisticamente insignificanti, senza bisogno di intermediari. Ma De Cataldo aggiunge che a furia di distinguo e di puzze sotto il naso (quelli che tengono Sant’elena Ferrante «in gran dispitto») si rischia di scoraggiare il lettore capace di appassionarsi, commuoversi, emozionarsi. E lo rassicura paternamente: tranquillo, se un libro ti piace non è un peccato. Ma credo che nessuno si lasci influenzare da presunti critici apocalittici impegnati a «sganciare l’ordigno fine di Mondo su quel che resta della già esigua comunità dei lettori». Credo che il lettore si lasci piuttosto piacevolmente inebriare dalla nube tossica della banalità e dell’indistinto esalata sul mercato letterario. Anche in editoria, come in politica, è tempo di facili consensi su grandi promesse infondate («il libro migliore del secolo o del millennio...») e di salti sul carro del vincitore. Che sia populismo, demagogia o furbizia fa lo stesso.