Scaglia vende La Perla al private equity Sapinda I timori del sindacato
Il fondo di private equity guidato dal controverso finanziere Lars Windhorst. Con grossi investimenti nell’immobiliare, ma non nel lusso. Sapinda si prende tutta La Perla, il gioiellino made in Italy della lingerie di alta gamma. Il venditore è la famiglia Scaglia, socio di controllo della holding. Il prezzo non è stato comunicato, ma occorre considerare i 300 milioni di investimenti di questi ultimi quattro anni per potenziare la rete commerciale, oltre ai 69 milioni con i quali il fondatore di Fastweb aveva comprato la società dal Tribunale di Bologna al termine della procedura di concordato.
L’annuncio dell’operazione ha colto di sorpresa tutti. Soprattutto i sindacati che in questi ultimi due mesi avevano visto diversi manager di Fosun in vista di una possibile acquisizione da parte della conglomerata cinese, che controlla Caruso, John Knits e Tom Tailor e l’ex palazzo Unicredit a Milano, oltre che Club Med. Fosun però era vista con sospetto per le sue possibili mire di delocalizzazione.
Fonti vicine al dossier rilevano che la fase del negoziato in esclusiva con i cinesi però era terminato e Silvio Scaglia si è sentito libero di trattare con il fondo Sapinda per spuntare i dipendenti che lavorano nel gruppo La Perla tra le sedi in Italia e quelle all’estero condizioni migliori. Roberto Guarinoni, segretario Filctemcgil di Bologna, dice che «i nuovi acquirenti sono sconosciuti nel mondo del lusso, per cui abbiamo diversi interrogativi sulla loro capacità di dare un solido sviluppo» a La Perla. Che ha oltre 1.500 dipendenti, il quartier generale a Londra, ma il cuore produttivo a Bologna, dove tra operai, creativi e rete commerciale sono in 650. Il gruppo ha aperto negli ultimi anni nuove boutique, che oggi sono a quota 150 monomarca, in posizioni strategiche come via Montenapoleone a Milano, Rodeo Drive a Los Angeles e Aoyama a Tokyo.
Gli interrogativi su Sapinda vertono sulla figura di Windhorst che è stato oggetto di indagini per le attività finanziarie riconducibili ad un veicolo d’investimento con sede in Lussemburgo. La società di consulenza Deloitte ha abbandonato la revisione dei conti un anno fa perché «il fondo aveva fornito informazioni deliberatamente false».