L’ANTIPOLITICA DELL’ITALIETTA
FU LO SCANDALO DELLA BANCA ROMANA A GETTARE DISCREDITO SUL PARLAMENTO
Ècurioso che l’ottocento, il secolo nel quale in Europa si è andata progressivamente affermando la democrazia parlamentare, sia anche l’insieme di decenni in cui la letteratura dell’intero continente, pressoché unanime, ha offerto un’immagine sempre più ripugnante delle attività svolte nei Parlamenti (nonché del loro intreccio con le realtà economiche e finanziarie). Lo documenta bene Clotilde Bertoni nell’avvincente saggio Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà, pubblicato dal Mulino. Un libro che con intelligenza va molto al di là del caso politico-finanziario che scosse l’italia alla fine del 1892. E che offre un ampio repertorio della critica saggistico-letteraria alla democrazia rappresentativa. Thomas Carlyle, Hyppolite Taine, Adolphe Prins e ancora Dumas, Stendhal, Balzac, Eliot, Gustave Flaubert, Meredith, Dickens, Trollope, Daudet, Claretie, Oscar Wilde, Maurice Barrès, Émile Zola… poi, qui in Italia, Francesco Domenico Guerrazzi con Il secolo che muore, Antonio Fogazzaro con Daniele Cortis, Vittorio Bersezio con Corruttela, Matilde Serao con La conquista di Roma: non c’è stato praticamente scrittore europeo che abbia anche solo sfiorato la politica dei propri tempi senza volersi soffermare sui cinici e spregevoli deputati che per amore di denaro e potere avevano tradito i loro nobilissimi ideali di gioventù. Quasi sempre in combutta con altrettanto ripugnanti affaristi, banchieri e giornalisti.
Lo scandalo italiano della Regìa Tabacchi alla fine degli anni Sessanta (dell’ottocento), il crac dell’union Générale e il fallimento della Compagnia per la costruzione del canale di Panama in Francia (1889) hanno via via offerto spunti sempre nuovi per questo genere di racconti. Qui in Italia, è stato soprattutto il crac della Banca Romana che ha influenzato la narrativa. Per alcuni decenni.
La storia è abbastanza conosciuta, almeno nelle sue linee generali. Governatore della Banca è, dal 1881, Bernardo Tanlongo, che Clotilde Bertoni descrive come «un personaggio insieme macchiettistico e inquietante», al tempo stesso «buon padre di famiglia» e «affarista pronto a tutti gli intrallazzi», «praticone e grossolano ma addentro a tutte le alte sfere». Tanlongo è un «vedovo, padre di numerosa prole, amante della vita familiare, cattolico devotissimo, di una frugalità prossima all’avarizia, avvezzo a garantirsi le simpatie popolari ricevendo infiniti postulanti in un ufficio malridotto da cui dispensa piccoli favori». Dietro «questa apparenza semplice e bonaria dissimula una stratificata rete di potere»: è in stretti rapporti con il Vaticano, con i gesuiti, ma anche con la massoneria, ha gestito le aziende agricole romane di Vittorio Emanuele II e «a quanto pare gli ha pure prestato denaro a usura».
Tra la fine del 1889 e l’inizio del 1890 si avvertono i primi scricchiolii della Banca. A dispetto di ciò, nel 1892 — su proposta di Giovanni Giolitti sollecitato in tal senso da re Umberto — Tanlongo è incredibilmente nominato senatore del Regno. In quello stesso 1892 esplode lo scandalo. Nel gennaio del 1893 viene spiccato contro di lui (e contro il cassiere della Banca, Cesare Lazzaroni «settantenne, vecchio scapolo, barone, bon vivant, amante delle frequentazioni altolocate, ma non granché influente») un mandato di cattura per peculato, falso e corruzione.
Prima di andare in carcere il banchiere fa in tempo a rilasciare un’intervista in cui minaccia di rendere pubblici i nomi di quelli che gli «hanno chiesto milioni su milioni» e avverte: «Se io precipito giù, casco in buona compagnia». In Parlamento esplode la bagarre. Napoleone Colajanni mette l’accaduto in relazione con i fatti di Caltavuturo, un paesino della Sicilia nel quale i soldati hanno sparato contro gli occupanti di terre. E denuncia il fatto che si possa «essere impunemente iniqui contro i contadini» e lasciar liberi «i ladri di milioni, i barattieri i quali finiscono per frequentare l’aula di Montecitorio». Una comparazione che resterà impressa nella memoria di Luigi Pirandello.
I personaggi assomigliano ai protagonisti di Corruttela di Bersezio: dal «cinico pennivendolo» Biagio Livi al «viscido faccendiere» Federico Parione. Colajanni, nel libro Banche e Parlamento (pubblicato dai Fratelli Treves in quello stesso 1893), è il primo a stabilire una comparazione tra gli scandali francesi e quello della Banca Romana. Con la differenza, a suo dire, che quello panamense (in realtà francese) era «una grande ladreria privata, a cui partecipavano anche degli uomini di governo e parlamentari», mentre quello italiano andava considerato come «una grande ladreria governativa a cui parteciparono anche dei privati».
Quanto a Giolitti, per Colajanni (che pur giustifica i «prestiti» ottenuti da Crispi), andava tenuto nel conto di «uno dei più disonesti ministri che abbia avuto l’italia». Il processo è quasi immediato e nell’estate del 1894 c’è, a sorpresa, l’assoluzione per tutti: i giornali generalmente ne attribuiscono la colpa all’impreparazione dei giurati. Non solo loro, a dire il vero: il leader socialista Filippo Turati così scriveva a Colajanni: «Sulla questione bancaria sono un asino calzato e vestito… Non conosco libri, né posseggo più idee di quelle del mio portinaio… Non dirlo per carità al nostro pubblico, neppure per vendicarti di me». Ma i giornali degli altri Paesi sono spietati. Scrive il 29 luglio il «Berliner Tageblatt»: «L’italia si è coperta con questo verdetto di una incancellabile onta… Con l’assoluzione d’una notoria e confessa banda di ladri ha pronunciato la propria dichiarazione di bancarotta morale». Tanlongo morirà nel 1896. Ma il veleno instillato dal caso nel nostro sistema politico gli sopravvivrà.
Già nel 1895 Scipio Sighele dà alle stampe un pamphlet, Contro il parlamentarismo. Saggio di psicologia collettiva, in cui sostiene che la Camera dei deputati «è psicologicamente una femmina e spesso anche una femmina isterica». Quello stesso anno, Guglielmo Ferrero pubblica La reazione, in cui si scaglia contro il «regime parlamentare degenerato e corrotto».
Nel complesso, fa notare Clotilde Bertoni, «la produzione letteraria dà scarso spazio al versante finanziario della vicenda». Con la parziale eccezione del romanzo Onorevole Pa-