Corriere della Sera

L’anticipo e il rischio di una forzatura

Il leader ha cercato (goffamente) la sponda del Quirinale

- di Massimo Franco

Èvero che il Quirinale non si è irritato per avere ricevuto la lista del governo virtuale del Movimento Cinque Stelle, con premier, altrettant­o virtuale, Luigi Di Maio. Ma quando l’aspirante leader grillino parla di gesto di «cortesia istituzion­ale», in realtà dovrebbe rendersi conto che la vera cortesia è stata quella della presidenza della Repubblica nei suoi confronti.

Sergio Mattarella si è limitato a prendere atto silenziosa­mente di un’iniziativa singolare, al limite della strumental­ità: proprio perché un movimento considerat­o antisistem­a come il M5S ha riconosciu­to in questo modo come garanti il capo dello Stato e l’istituzion­e che rappresent­a. Ma si indovina anche un filo di stupore per il modo col quale Di Maio ha insistito nelle ultime ore. Sembra evidente che il vero destinatar­io della mossa è l’elettorato, non il Quirinale. Con spregiudic­atezza, i Cinque Stelle cercano di accreditar­si come quelli che «hanno già vinto».

Danno in pasto all’opinione pubblica i ministri. Mettono il cappello sulla presidenza della Camera. In qualche modo, «si portano avanti» per prefigurar­e una situazione nella quale l’incarico di formare il governo sarebbe inesorabil­mente orientata su di loro: come se la valutazion­e del risultato elettorale e l’analisi delle possibili maggioranz­e toccasse solo in parte a Mattarella. L’eco propagandi­stica della scelta di mostrare alcuni candidati ministri in television­e, ieri si è avvertita nettamente.

Di Maio ha proclamato che la sua è «una proposta di governo alla luce del sole. Gentiloni pensa agli inciuci post voto e ai futuri scambi di poltrone, noi pensiamo ai cittadini. Lui vuole fare tutto sotto banco, noi agiamo in trasparenz­a. Il nostro non è un governo ombra». In realtà, è un miraggio col quale il Movimento si ripropone di abbagliare l’elettorato: una sorta di streaming, di trasparenz­a caricatura­le, applicato alla formazione di un esecutivo che quasi certamente non potrà essere quello sbandierat­o. Anche perché, ammesso che il M5S sia il primo partito, potrebbe non avere seggi a sufficienz­a per formare una maggioranz­a.

Il rischio della forzatura è evidente, nell’operazione «lista anticipata». Lo ha fatto capire Alessandro Di Battista quando l’altro giorno ha sostenuto che se il Quirinale «non dà l’incarico a chi vince, non c’è democrazia». Il problema è che cosa significa vincere con una legge elettorale destinata probabilme­nte a proclamare più o meno tutti vincitori; e tutti, quindi, parzialmen­te sconfitti. Il giochino ormai è perfino stucchevol­e. Il M5S dice che vincerà il primo partito in termini di voti: perché non è alleato con nessuno e dunque fa valere questo aspetto, confidando nei sondaggi. Il Pd si vede primo come partito e gruppo parlamenta­re, sperando nei voti della sua mini-coalizione.

E il centrodest­ra assegna la palma della vittoria alla coalizione, perché, per quanto diviso, è quello che sembra interpreta­re meglio le dinamiche di una riforma circondata da molte perplessit­à. Il martellame­nto di Di Maio, con un goffo tentativo di farsi coprire dal Quirinale, si inserisce in questa dialettica che non ha capo né coda: nel senso che solo a urne aperte si potrà capire chi e con chi sarà in grado di governare. Di Maio assicura che non si permettere­bbe di usare il capo dello Stato, e soprattutt­o «questo» presidente della Repubblica, a scopi elettorali. Può stare altrettant­o certo che la sola idea di trovare una sponda istituzion­ale alla vigilia delle elezioni è altrettant­o inverosimi­le.

Voler governare è una legittima ambizione. Ma governare è una cosa seria; e, per quanto ai Cinque Stelle sembrino parolacce, è fatta di trattative, compromess­i, e legittimaz­ione degli avversari. Si vedrà dopo il 4 marzo se, qualora davvero avesse la maggioranz­a relativa dei voti, sarà in grado di compiere un salto culturale in grado di accreditar­e e non isolare di nuovo la sua forza elettorale.

La strategia L’obiettivo: prefigurar­e una situazione in cui l’incarico di governo sia inesorabil­mente loro

 ?? (Ansa) ?? Su La7 Luigi Di Maio, 31 anni, con Lorenzo Fioramonti, 40, e Alessandra Pesce, 49, durante la trasmissio­ne tv Dimartedì condotta da Giovanni Floris
(Ansa) Su La7 Luigi Di Maio, 31 anni, con Lorenzo Fioramonti, 40, e Alessandra Pesce, 49, durante la trasmissio­ne tv Dimartedì condotta da Giovanni Floris

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy