Zoccoli ai piedi e pezzi folk Dior, omaggio alla libertà del ‘68
Maria Grazia Chiuri, la moda come battaglia sociale. Lo slogan: «Quando è no, è no»
PARIGI E Dior mise gli zoccoli alle donne. Maria Grazia Chiuri, la féministe, va avanti per la sua strada che è fatta di riflessioni e irriverenze raccontando altro che non siano solo il glamour e la grandeur. Coerente con il patto che ha stretto, dentro di sé, e come lei anche altre stiliste, è vero, con l’impegno morale di contestualizzare la moda a battaglie culturali e sociali. Quale momento più giusto, allora, dell’anniversario dei cinquant’anni del ‘68 per celebrare conquiste e diritti?
Lo show non scende a compromessi con il sistema: lo stage è tappezzato di manifesti e slogan e copertine dell’epoca e le ragazze sono idealmente le stesse che mezzo secolo fa scesero in piazza per protestare e chiedere di essere padrone assolute della propria testa e del proprio corpo, libere di pensare e vestire come pare a loro. Ragazze che al tacco a spillo preferiscono gli zoccoli e gli stivali da motociclista, e agli abiti tutti-curve scelgono poncho e pezzi folk, e ai pantaloni precisi jeans customizzati. L’artigianalità come voce narrante: ricami, patchwork, tricot, crochet per vesti borghesi appena sopra il ginocchio, gonne midi, giacche, maglie, montoni. I simboli come narrazione di diverse culture: scritte («Quando è no, è no, no», «Mini skirt forever») e segni (l’emblema della pace). Un pezzo iconico della collezione: il kilt, corto o lungo, anche come tailleur.
«È stata per me un’ispirazione evidente — racconta la stilista —: una citazione dopo l’altra, a cominciare dalla mostra sul ‘68 alla Galleria d’arte moderna di Roma. Così mi sono chiesta cosa facesse in quell’anno Dior. E in archivio ho trovato “la” foto: un gruppo di ragazze che davanti alla boutique Dior protestava con cartelli sui era scritto “Dior sei ingiusto con la minigonna”. Era il 12 settembre del 1966: “Mini skirts forever” e “Dior Unfair Mini Skirts” urlavano. L’ho preso come un segno. Oggi come allora le cose stanno cambiando e la moda, da sempre, raccoglie e include».
Non a caso nel ‘70 nasce Miss Dior, la linea prêt-à-porter: «Cioè la democratizzazione. “Quando è no, è no, no” è la scritta che ho trovato in un foulard dell’epoca». La stilista non ci sta a banalizzare il gesto di vestire come atto di coprirsi o sedurre o piacersi. «Penso alle copertine di tanti giornali femminili che aiutarono le donne nelle battaglie sociali o al famoso convegno a Versailles, organizzato dalla direttrice di Elle Francia, nel ‘70, che fu una sorta di Stati generali con quasi duemila donne partecipanti. Ora ci sono i giovani che influenzano il dibattito globale, attraverso la rete, come non coglierlo? Sono più svegli e informati di noi. Ovviamente penso nel mio, la moda. Che non è più solo forme. Ma anche espressione. Che ho trovato nell’artigianato, nella creatività di certe mani femminili che hanno fatto questi abiti all’uncinetto o questi incredibili patchwork cuciti a mano, uno a uno. Autenticità credo sia questo di cui oggi abbiamo bisogno». Senza ipocrisia: Chiuri è ben conscia di lavorare nel lusso e per questo esige da se stessa di creare pensando che quel trench o quella borsa possano durare nel tempo. Nel rispetto dell’heritage della maison che sia la storia di monsieur o di Bohan o di Slimane o di Galliano. Perché tutto non si perda come lacrime nella pioggia.
La collezione L’artigianalità come voce narrante: ricami, patchwork, tricot, crochet