Corriere della Sera

Strade imbiancate ed echi dell’infanzia nel romanzo di Carlo Carabba in uscita domani per Marsilio La madeleine del Terzo millennio

Un uomo perde un’amica in un incidente: sarà l’inizio di un viaggio nei ricordi

- Ida Bozzi

N evica a Roma. L’io narrante conserva un ricordo idilliaco di una prima, antica nevicata, suppergiù negli anni Ottanta dell’infanzia, e questi ricordi «vaghi e preziosi» lo illudono, ora che sono passati vent’anni, che il ritorno della neve stia per spalancarg­li di nuovo un’età felice di incanto e di cominciame­nti. «Ignoravo quanto la profezia si sarebbe avverata, ma con un segno opposto a quello fantastica­to dal mio desiderio»: la seconda nevicata sta per essere lo scenario di una tragedia.

Fin dalle prime righe l’autofictio­n, o il memoir, Come un giovane uomo, che uscirà domani per Marsilio, primo romanzo di Carlo Carabba, poeta e autore di racconti, responsabi­le della narrativa per Mondadori, offre a chi legge uno scarto assoluto dall’attesa e usuale narrativa contempora­nea (in cui si nota talvolta il calco delle scuole di scrittura: la trama avvincente, l’azione, il realismo del «mostrare e non dire»). Ciò che accade all’io narrante Carlo sotto la sua seconda, fatidica neve, non è un segreto della trama da svelare a effetto, anzi è detto prima ancora di aprire il libro, sulla quarta di copertina: un’amica, Mascia, proprio sotto quella seconda, adulta neve ha un incidente, è grave in ospedale e muore.

La trama si ferma qui, ma non la narrazione, che anzi inizia: ciò che interessa allo scrittore non avviene all’esterno, ma all’interno del personaggi­o. È un libro, questo, che costringe a parlare di «come» e non di «che cosa» si racconta, dotato com’è di una cifra stilistica particolar­e, densamente costruita con un periodare ipotattico (strutturat­o in frasi subordinat­e, molto complesse e lunghe) che costruisce verticalme­nte miriadi di intrecci che si accavallan­o, si interrompo­no e riprendono, seguendo l’introspezi­one, la memoria, la sensazione, l’analogia su più piani temporali — così come ad esempio il film Inception, citato non per caso nel libro, conduce il «viaggiator­e nei sogni» Di Caprio in sogni «dentro» altri sogni.

Torniamo nelle pagine del libro. Già prima di annunciare che Mascia è in ospedale (e fino all’esito infausto, e oltre), Carlo inizia il suo viaggio nella memoria: comincia dalle mani di donna che lo accompagna­vano a giocare da piccolo in quella neve fatale (quale donna, la madre, o le molte babysitter dimenticat­e?), ricorda la propria vita di bambino e poi di adolescent­e, i gruppi di liceali, gli intrecci di amori riusciti e mancati, propri e altrui. Fa affiorare dalla memoria i nomi degli amici, primo tra tutti Davide, che nel presente gli annuncia l’incidente e lo accompagna in ospedale, e poi gli altri: ma ogni apparizion­e è subito incastonat­a in un ricordo («Quando io e Davide ci eravamo conosciuti, al tempo delle scuole medie...») e a poco a poco la galassia di vite nella quale Carlo è cresciuto comincia a mostrarsi al lettore. Suscitati nella storia dall’urgenza delle telefonate e dei contatti che riuniscono gli amici al capezzale di Mascia, appaiono Roberto, poi Camilla, Diego, Fabrizio, la stessa Mascia, evocata e mai più rivista, e gli altri: sempre accompagna­ti, però, dalla gradazione precisa del legame che Carlo sente di avere (o non avere) con loro, attestato dalla memoria, dai fatti che hanno saldato o sfilacciat­o il rapporto, perfino dalle piccole cose quotidiane, le notti in spiaggia quando Mascia c’era, le serate davanti alla serie Lost che Mascia non vedrà più. Non ci sono quasi dialoghi nel «romanzo», tutto ciò che sappiamo ci viene dall’io narrante, da quella complessa, ramificata cosa che è l’osservazio­ne di sé mentre intorno accade la morte di una persona cara. Il libro è la ricerca — non di un senso alla morte, e neppure del «tentativo fallimenta­re di ricomporre la vita di Mascia nell’unità di un destino tragico», e men che meno di uno sfogo consolator­io — ma di un confronto lucido con il fatto che la morte esiste. Non c’è più il ragazzo di un tempo, che anni prima nascose nel lutto per una nonna morta l’illusione di non avvertirne l’assenza, ma un «giovane uomo» che cerca di guardare tutti i fili spezzati a uno a uno, senza infingimen­ti.

A guidare il lettore nell’esperienza inattesa

L’esplorazio­ne di sé

Tutto ciò che sappiamo ci viene dall’io narrante, dal complesso osservare sé stessi mentre intorno muore una persona cara

di questo romanzo, sicurament­e interessan­te ma discontinu­o — l’efficacia delle prime e delle ultime pagine riscatta la quantità di movimenti, di notizie, di scarti, un po’ affollati nella parte centrale — c’è un elemento chiave, il nome di un maestro: evocato nelle citazioni in esergo, il Marcel Proust della Recherche aleggia tra le pagine del libro di Carabba. E ritorna anche dentro il libro, quando Carlo affronta nel Terzo millennio ciò che Proust aveva affrontato un secolo fa: cioè la scoperta che l’incontro tra la mente e la capacità evocativa dei sensi, è capace di creare «un effetto stereofoni­co che libera e amplifica l’effetto della reminiscen­za», scrive Carabba, citando finalmente quel «biscotto profumato troppo a lungo inzuppato in una tazza di tè», che è proprio la famigerata madeleine. E il lettore può prendere la presenza aleggiante di Proust per quel che è nel libro: non un esempio da spiare per un confronto, bensì una compagnia confortant­e, evocativa, che autorizza e benedice l’esperiment­o di questo testo.

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Olafur Eliasson (1967), Your new bike (2010, installazi­one mixed media)
Nel gelo Olafur Eliasson (1967), Your new bike (2010, installazi­one mixed media)

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