Corriere della Sera

«Cantando le sue opere impari la follia organizzat­a»

- di Valerio Cappelli Carmela Remigio

«Non si dà follia maggiore dell’amare un solo oggetto», canta Donna Fiorilla nel Turco in Italia. Rossini usa la follia come un labirinto di possibilit­à, un grimaldell­o per rappresent­are la pazzia umana in un campionari­o di agilità e brillantez­za vocale. È la «follia organizzat­a» su cui teorizzò Stendhal, «dove la collisione di sillabe spogliate di senso e sovrappost­e alle note, spersonali­zza i caratteri trasforman­doli in marionette», dice Carmela Remigio, un soprano che studia, «secchiona», curiosa, complice; una regina del canto che nasce violinista, e accosta Rossini a Paganini.

Remigio ha iniziato a studiare canto per migliorare il fraseggio violinisti­co: «Ero una studentess­a del conservato­rio di Pescara e cercavo di trovare una cantabilit­à nel virtuosism­o di Paganini. Oggi, abbandonat­o il violino, mi ritrovo a riflettere sulle affinità tra la scrittura vocale rossiniana e quella strumental­e paganinian­a». Cioè? «Rossini usa la voce come uno strumento, così come Paganini, di cui era amico, mette il suo funambolic­o virtuosism­o (introdusse il pizzicato e lo staccato in note vorticose) al servizio di una espressivi­tà che deve sempre essere cantabile».

«La mia testa è un campanello che suonando fa din din». «Se non è follia questa, Intensità Carmela Remigio, qui nei panni di Donna Anna nel «Don Giovanni», il ruolo che la lanciò di Elvira nell’italiana in Algeri… Ma c’è anche nel Rossini serio, solo che è al servizio della drammatici­tà del personaggi­o, il patetismo, la malinconia. Dice bene Stendhal: follia organizzat­a, non a caso Rossini era chiamato il tedeschino, si richiamava al clascarmel­a sicismo austro-tedesco».

Carmela è nota anche per interpreta­re due ruoli nella stessa opera, una piccola follia anche questa. Sorride: «Sì, Donna Anna e Donna Elvira nel Don Giovanni, Adalgisa e Norma, Elisabetta e Maria Stuarda, e per restare a Rossini, Corinna e Madama Cortese nel Viaggio a Reims. É un debutto assoluto invece quello che farò il 15 marzo al San Carlo, Mosé in Egitto, una delle nove opere che Rossini scrisse per Napoli. Io sono Elcìa, l’ebrea che si innamora del figlio del faraone (Alex Esposito). La celebre preghiera, Dal Tuo stellato soglio, fu trascritta con variazioni da Paganini (oltre a Di tanti palpiti)». É una ripresa della regia di David Pountney, apprezzata alla Welsh National Opera. «Un bel cast di colleghi, quasi tutti italiani, il che mi piace, direttore Stefano Montanari. Non è tradiziona­le, è iconografi­ca, descrive attraverso le immagini e le luci, con un’astrazione fascinosa».

La prima emozione, quando si canta Rossini, è «la libertà interiore. Tu devi essere dentro l’agilità, è come stare sul tetto di un grattaciel­o, ti butti giù sapendo che i pompieri ti faranno rimbalzare su una rete e non morirai. Ti devi fidare di te stesso, e arrivare fino in fondo senza condiziona­menti. A parte Rossini, l’artista deve sempre consegnars­i alla follia per essere creativo».

Remigio ha inciso un singolare cd rossiniano, «una sorta di divertimen­to sull’ultima parte della sua vita. Da una Ave Maria scritta su una sola nota, all’addio alle scene di Vienna. In realtà in quel pezzo adatta le parole per ogni città in cui dava l’addio e a Parigi. Parlando di se stesso in terza persona, scrive: la Senna risuonava del suo splendore. Cerco stimoli nuovi, ho cantato 450 volte nel Don Giovanni, il 23 agosto la Petite messe solennelle al Rossini Opera Festival…mi piace studiare, si imparano tante cose dai personaggi. Il 5 aprile, all’opera di Roma, altro debutto assoluto, Nedda nei Pagliacci».

Com’è Rossini rispetto agli altri due compagni di viaggio del belcanto? «Bellini scrive musica sulla melodia, Donizetti lavora su un’agilità più spigolosa e drammatica. Le parole in Rossini hanno un fine per la brillantez­za ritmica e la musicalità, usa l’agilità mettendoci dentro un virtuosism­o scatenato, che è strumental­e. Per questo lo accosto a Paganini»

Osare con la voce

«È come stare su un tetto di un grattaciel­o: ti butti giù sapendo che i pompieri ti salveranno»

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